IL MIO PAESE
SAVERIO DI VINCENTI
IL PRANZO DI MATRIMONIO
Alla conclusione del matrimonio, la
sfilata, che attraversò la piazza, era aperta questa volta dalle donne,
compresa la sposa. Vicino a Maddalena, stavano in prima fila le ragazze che
ancora non erano sposate, vestite eleganti per l’occasione, le donne più
anziane, invece, indossavano degli abiti
a giacca accoppiate a delle scialline di svariati colori, tra di loro si
chiamavano commari. La casa
di Andrea, dove doveva svolgersi il trattenimento, aveva una stanza grande dove
c’era l’alcova e due stanze più piccole, alle quali si accedeva scendendo due
gradini. Dalla stanza grande,
invece nella ferreria di mastro Filippo Montagna, che si trovava
nella Via Savoca ci si accedeva tramite un catarratto, seguito poi, da una
scala in pietra, curva, di undici gradini. Alcuni mobili per fare largo erano stati portati da Luigi Passaggio, che abitava nella Via Colca, compresi i i
trispi del letto ed i materassi; lavoro
di smontare che era stato effettuato con l’aiuto del cugino Ignazio Cordaro che
aveva un carretto. Nella casa di Andrea, quel giorno, perciò, c’era
movimento, perché si apparecchiava per tutti gli invitati al matrimonio. Con
l’arrivo del corteo con a capo Andrea Montagna, il gruppo si organizzò nei
tavoli sistemati nei vari punti della casa. Proprio, in quel momento,
l’orchestra, che si trovava nella stanza grande,
incominciò a suonare la romanza “il volo degli angeli”. Dopo poco, Maddalena
Belvedere, fece ingresso nella stanza grande e cominciò a fare largo
con Andrea ai parenti. Mastro Filippo Belvedere, che si trovava in questa
stanza, quel giorno aveva anche altri pensieri, perché doveva sorvegliare la
figlia Giuseppina, a cui aveva dato il consenso di frequentare in casa Michele La Farina, che giustamente era
seduto in un’altra stanza. Vito Previdenza cantava e Domenico Prospero con
l’orchestra l’accompagnava, quando, incominciò il pranzo. Oltre il pane ed il
vino locale, per primo fu servita della pasta di casa a forno, detta con il formaggio, condita con del
sugo di pomodoro, del formaggio e della carne. Per secondo delle bistecche
panate, uova sode e dell’insalata. In ultimo, delle aranciate, il riso con il
dolce ed i cannoli di ricotta della casa. Quasi al termine del pranzo,
Francesco Belvedere, che era dilettante in questo, fu chiamato da Rosetta,
perché si doveva fare una bicchierata con il vino per gli sposi. Così,
Francesco Belvedere, si mise a capo di un tavolo circolare, u tunnu e intonò nel silenzio della stanza: "In questo paese di Bisacquino,
abbondante di olive e di vino, con spighe e frumento, noi ci troviamo in questo
tempo. Andrea ha avuto questo piacere, di volere a Maddalena Belvedere, e
in questa giornara di felicità, con amici e parenti si trova qua!. Di San
Francesco di Paola alla Badia, tutti ci siamo messi in via, per questa grande
occasione e per questa felice realizzazione; per questo, con questo vino così
fino, faccio un brindisi agli sposi, con tutto Bisacquino!"
Fu in quel momento che Domenico Prospero
attaccò a suonare il brindisi della Traviata, mentre la gente, si andava a
complimentare con Francesco Belvedere, che
pareva studiato, brindando
con il vino, mentre nella stanza grande si cominciava a servire la cassata.
LA
SERATA DI
BALLO LISCIO
La sera seguente sempre nella casa di
Andrea si tenne il “suono”, cioè si ballò; naturalmente furono invitati quelli
che avevano partecipato al pranzo di matrimonio, ma anche quelli a cui ci si
“teneva”, perchè per il pranzo non era stato possibile invitare tutti perché
erano tempi scarsi. Nella casa dei Montagna, quella sera, c’era anche
Michele Montagna, che alcuni mesi prima, con l’occasione di conoscere la
cugina, si era fatto fidanzato in casa, con Giuseppina Belvedere, sorella di
Maddalena. L’orchestra, intanto, si era sistemata in un angolo della stanza
grande, proprio allo stesso posto dov’era sistemata, all’ora di pranzo.
Finalmente, arrivarono Maddalena Belvedere ed Andrea Montagna: gli sposini;
così, cominciarono i balli. Dapprincipio, ballarono solo Maddalena e Andrea, un
bel valzer dal titolo “La luna romantica”, poi, nella mazurka successiva, molti
si misero in mezzo. L’orchestra di Vito Previdenza aveva terminato di suonare
un tango argentino, quando Sebastiano Prospero, cugino di Andrea, fu invitato a
cantare, perché era dilettante in questo. Intanto, mastro Filippo Belvedere,
che postiava i nuovi fidanzati, aveva visto che
Giuseppina, aveva guardato verso Michele Montagna, per questo l’aveva fatta
cambiare di posto. Nel frattempo, alcune persone passavano dalla Via Savoca,
vedendo che c’era “suono” e che la porta era aperta, si erano autoinvitati, tra
questi Pietro Eliseo. Mastro Filippo Belvedere, quando si accorse che nella
sala era entrato anche Pietro Eliseo, che circolava in tutto il paese, che voleva
sua figlia Agata, ma che ancora non glielo aveva detto, tra di lui pensò,
“e ora sono due da controllare” e chiese ausilio alla figlia Paola, che
già era sposata; la quale però non era della sua stessa opinione, infatti
diceva “falli divertire che sono giovani!”. Durante i balli mastro Domenico
Belvedere, controllava se le figlie ballavano larghe con i loro spasimanti mentre, Paola quando era seduta invitava le sorelle a ballare un poco più
strette. Il bello successe,quando, Francesco Belvedere, che era un poco
“brillo” disse “Attacca Bastià” e comincio a chiamare la “cuntrananza”. Andrea
Montagna andò ad invitare Maddalena, Michele Montagna andò ad invitare
Giuseppina e Pietro Eliseo a Lucia; in quella confusione, causata dalla
tarantella, non s’è ne capì più niente, mastro Filippo Belvedere, pensò “e si fecero i fichi!”; insomma, alla fine della tarantella, addirittura le tre
coppie camminavano a braccetto. Verso mezzanotte, dopo di avere distribuito le
bomboniere con i confetti, Maddalena Belvedere e Andrea Montagna, salutarono i
presenti; in quanto dovevano andare nella loro nuova casa, che si trovava
nel Cortile Fontanetta. Fu così, che terminò la serata di ballo; mastro
Filippo Belvedere, mentre loro si allontanava per ritornare a casa, tra di lui
pensò: “e questa è fatta”.
FONTANELLA
Andrea e Maddalena andarono ad abitare nel
Cortile Fontanetta, nel quartiere della Badia nel paese di Bisacquino in
provincia di Palermo. Doveva essere un cortile molto antico, forse una volta
tutte le case del cortile appartenevano ad un’unica famiglia i Fontanetta. In
questo quartiere, le strade erano critiche, con bastioni e scalinate
intercalate a mulattiere che si univano a viuzze e cortili. Allora, erano tutte
case antiche, appartenute agli avi delle persone che vi abitavano. La loro
casa, si trovava, di fronte ad una fontanella ed aveva un prospetto nel quale
al primo piano c’era un terrazzo sostenuto da due archi, con una scalinata
esterna e sopra di una di queste arcate c’era la porta d’ingresso. Il locale
era composto di una camera abbastanza grande, che si trovava dove c’era la
porta d’ingresso, da questa sala si accedeva nel vano della cucina, dove c’era
un altro balcone, da qui, nella stanza da bagno, poi, c’era il terrazzo che si
esponeva nella Via Senapa. I due balconi invece si esponevano nel cortile.
Nella prima camera, c’era uno sportello, tramite una scala ricurva di pietra,
portava al piano di sotto, che si proiettava nel Cortile Fontanetta, qui Andrea
aveva aperto una bottega per la lavorazione del ferro, specializzandosi nel
fare zapponi. Era una
piccola bottega, con vicino all’ingresso un incudine, con di fronte un bancone
ed uno stipo e poco più in là una fornace, che era attaccata al muro in comune
con mastro Antonino Aida, che accanto ci
aveva una falegnameria. In
questa fornace, che ogni volta che si apriva pareva un vulcano, si distingueva un mantice, che mastro Andrea
adoperava per rendere ancora più alta la temperatura nel forno, quando ci veniva rinchiuso il ferro, questo faceva si,
che le mura interne della bottega, pertanto, erano diventati scuri per il fumo
provocato dalle forti temperature. La casa dove erano andati ad abitare Andrea
e Maddalena era stata acquistata alcuni anni prima dai Montagna, che l’avevano
comprato dalla famiglia Senape. Nel cortile oltre ad Andria e Maddalena vi
abitavano le famiglie Aida, Palagonia, Comando, Flora e Fortezza. Erano tutte
famiglie con almeno nove figli, tutti nati in quel cortile. Nel rispetto degli
usi, i mariti, funzionavano da capo famiglia, ma anche le mogli
dirigevano in casa, guidando i figli al rispetto delle tradizioni cristiane. I
figli davano ai genitori del lei anzi per meglio dire del Vossia. Erano tutte famiglie
umili, che vivevano in un’epoca scarsa e irta di ostacoli.
Verso le ore nove del mattino Maddalena si
sentì chiamare, s’affacciò dal balcone e vide che giù c’era Giuseppina
Palagonia, che l’invitava a scendere; Maddalena si sistemò alla meglio è scese
nel cortile; qui in quella calda giornata di Settembre le furono presentate da
Giuseppina quasi tutte le donne del quartiere; poi, dopo, Giuseppina Palagonia
invitò in casa sua Maddalena. Intanto Gaspare Realistico era andato a trovare
Andrea, sperando che in quell’occasione, anche da lontano, avrebbe visto
Giuseppina Palagonia. Andrea lo trovò intento a preparare delle falci, che gli
erano state richieste da Don Carlo Incontrera, che aveva una masseria in
contrada Frascine. In quest’occasione, Gaspare Realistico confidò ad Andrea, che
si voleva sposare il prossimo anno. Frattanto, Pietro Palagonia stava uscendo
dal cortile con delle capre, quando si trovò davanti a Gaspare Realistico, che
era diventato un poco rosso in viso, vedendo il futuro suocero, giusto gli
sembrò dirle “benedica”, saluto al quale Pietro Palagonia, rispose con un cenno
e proseguì oltre; Maddalena da dietro la tendina, aveva visto questa scena, gli
parve opportuno, affacciarsi al balcone, per chiamare il marito Andrea, perché
aveva preparato il caffè; così Giuseppina e Gaspare poterono incontrarsi,
mentre, nel cortile già si commentava il fatto che Gaspare voleva sposarsi.
Comunque, verso le undici, Gaspare lasciò la casa di Andrea e si diresse verso
il quartiere della Grazia, giunto nella piazza Triona, Gaspare Realistico,
s’incontrò con Vincenzo Fiume; quest’ultimo, gli propose di andare a lavorare
da lui, per la raccolta delle olive, Gaspare, che naturalmente non era la prima
volta che lavorava da Pietro Fiume, accettò il lavoro.
Andrea intanto era ritornato in
bottega a fare delle falci, intanto che Madalena si faceva aiutare da
Giuseppina Palagonia ad impastare della farina con del lievito di casa; dopo
che Giuseppina si era congedata, Maddalena, progettò cosa doveva preparare per
il pranzo; decise, allora, di preparare un piatto tipico bisacquinese: allora,
cucinò, in un tegame delle uova sode; poi, prese delle fette di carne di
vitello dove, arrotolò le uova sode, con del lardo e del formaggio; condì il
tutto con un impasto di pane grattato e delle uova battute e poi legò sempre il
tutto con del filo da cucito e finalmente, immerse il tutto, in un tegame con
del sugo. Alle ore dodici del mattino, mentre si sentiva l'orologio della
Matrice che suonava dandalanda', chiamò Andrea; quest'ultimo, rimase
contento di come sapeva cucinare Maddalena. Al termine del pranzo Andrea
ritorno in bottega mentre Maddalena andò dalla signora Rossella Aida, ad
infornare il pane; quest'ultima, aveva un forno a legna nel cortile.
Andrea, terminò di lavorare verso le sei della sera, per cena questa volta
Maddalena, preparò delle uova fritte dette a “occhi di bue” anche se Maddalena
e Andrea, erano consapevoli che non si potevano campare con tutte queste uova
al giorno, troppa grazia.
CAMMARONE
Andrea, quella mattina, si alzò di buon
ora, in quanto doveva consegnare delle falci a Don Carlo Incontrera, che
abitava nel Corso Triona; giunto in questa strada, Andria bussò al civico 21.
Dal balcone centrale, s’affacciò Don Carlo Incontrera, che invitò Andrea a
salire. La famiglia di Don Carlo Incontrera, era una delle più importanti del
paese, come si poteva anche notare dalla casa dove abitava; infatti: si
esponevano nel Corso, cinque balconi, con delle inferriate stile barocco.
Andrea, alzò il lucchetto del portone, posò le falci, all’ingresso e si trovò
davanti una grande scala; era una scala, tutta in pietra
battuta, larga circa cinque metri, era veramente molto bella, con circa
trenta gradini. Don Carlo, si fece trovare alla fine della scala ed invitò
Andrea ad entrare in una stanza grande: il “cammarone”; era anch’esso molto
bello, c’erano in tutta la stanza, appesi al tetto, nove lampadari e nel
soffitto c’era un grande affresco. Don Carlo offrì ad Andrea del rosolio, i
bicchieri decorati, erano di colore verde scuro con rifiniture in colore
oro; dopo di avere ricevuto il denaro per le falci, Andrea, mentre scendeva le
scale, tra di lui pensò, che la vita a lui aveva dato molto di più, perché non
c’erano ricchezze, che potevano valere quanto Maddalena.
Gaspare Realistico, in quell’istante, si
stava recando a piedi nel feudo di Giammaria; era già giunto in contrada Pomo
di Vegna, quando incrociò sei mule, cariche di olive posti in dei “zimmili”,
guidate dal contadino Ignazio Cordone. Gaspare Realistico, arrivò nelle terre di
Pietro Fiume, intorno alle ore sette del mattino, si accorse, che l’annata era
buona e che già alcune persone raccoglievano le olive, per cui lui decise
di mettersi subito al lavoro; in lontananza alcune persone, sparpagliavano le
olive per pulirle. L’area, era una parte di terreno battuto, dove dei muli, guidati
dal contadino Saverio Bordi, venivano caricati col le olive già pulite
e al termine di questo lavoro, potevano essere trasportati al frantoio.
C’era molto freddo quel giorno ed il cielo era coperto di grigio, Gaspare Realistico, dopo circa due ore di lavoro, era veramente molto stanco, ma in ogni
momento, la sua mente andava solo a lei Giuseppina Palagonia. Maddalena, che
quella mattina era vestita con una vestaglia per uscire, colore marrone chiaro,
era andata a riempire un secchio di metallo, alla fontanella, passando, davanti
l'edicola della Madonna del Balzo, si era fatta il segno della croce,
poi si era fermata a parlare (cioè a fare cortile) con Giuseppina
Palagonia; quest’ultima le aveva annunciato, che Gaspare Realistico aveva
intenzione di sposarsi il prossimo anno e che per questo cercava una casa in
affitto; nel Cortile Fontanetta in effetti, c’era una casa vuota appartenente
ai Flora, ma ancora non si erano messi d’accordo sul prezzo. Intanto, al centro
del cortile, molti bambini giocavano, mentre le donne davano da mangiare a
delle galline, che si trovavano anch’esse nello spiazzo. Mastro Giuseppe
Palagonia, nonno di Giuseppina, era seduto in uno dei gradini esterni della sua
abitazione, fumava del “cintrato forte” che si diffondeva nel luogo; la
moglie, Giuseppina Segretario, era seduta con Filippa Fortezza, anch’essa in
avanti negli anni, in un angolo del cortile, parlavano dei tempi andati. In
questo scenario, il freddo umido e secco e l’aria dell’autunno, contribuivano a
rendere piacevole il vivere ed il lavorare nel cortile Fontanetta.
Nel cortile Fontanetta, la famiglia
Montagna si era ben inserita con le altre famiglie, per questo nei pomeriggi
d’estate, quasi al tramonto, si riunivano all’aperto per recitare il rosario
seguito dai racconti. A quel tempo, infatti, non c’era ancora nei paesi
l’energia elettrica, per questo le strade di sera erano già al buio. Nelle case
infatti, si adoperavano lumi ad olio, che generalmente erano fatti con metalli
e che terminavano con un tubo di vetro, si adoperavo anche dei
piccoli lumi a petrolio e delle candele di cera. Nelle case delle famiglie
benestanti, invece c’erano i lampadari, forniti di candele di cera. Maddalena
Belvedere con Giuseppina Palagonia, si erano recati nella Via Ecce Homo da mastro
Giuseppe Universo che aveva una bottega di calzolaio; in quanto Giuseppina
doveva fare riparare un paio di scarpe con i tacci, appartenenti al fratello
Ignazio, mentre Maddalena un suo paio di scarpe, dove ci volevano i
sopratacchi. All’uscita dal calzolaio, incontrarono Rosa Esposito, con la quale
si fermarono a parlare, in quanto era loro coetanea. La discussione si
concentrò sull’imminente fiera del due luglio e sugli acquisti che ogn’uno di
loro si proponeva di fare per la casa.
Andrea, intanto nella sua bottega era
indaffarato, perché voleva fare una sorpresa a Maddalena. Per questo, infatti,
aveva chiesto collaborazione a Salvatore Aida che faceva il falegname e a
Gioacchino Fortezza che era carpentiere. Nel cortile, c’era movimento, infatti
vi erano stati trasportati dai muratori Filippo Guana e Marco Trippodi, con una
carriola, della calce, della sabbia rossa e delle pietre. Luigi Imperiale,
suocero, di Salvatore Aida, ormai in avanti negli anni, non riusciva a
capacitarsi, su quello che dovevano fare, in quanto tutti facevano le ombre. La
luce del giorno non c’era più. La notte con le sue ombre copriva Bisacquino.
Con il suono della campana della Matrice che annunziava con l’Ave Maria la fine
della giornata, tutti gli abitanti del cortile, dopo di avere recitato una
preghiera in comune, erano rientrati a casa, lasciando pero le porte aperte,
con le tendine, perché faceva un caldo da morire. Fu allora, che entrarono in
movimento Gioacchino Fortezza con i suoi manovali, i quali posizionarono nei quattro
angoli del cortile quattro fanali in ferro, costruiti da Andrea Montagna, per
quanto riguarda la sistemazione dei vetri era stata opera di Mastro Salvatore
Aida.
I fanali erano stati realizzati con
maestria, aveva ogn’uno un piede a tubo in metallo, che teneva il fanale;
quest’ultimo invece, aveva una lanterna che finiva nella cima con una
piccola cupola, da dove usciva il fumo dell'olio che si andava erodendo. Fu
quando, Gioacchino Fortezza i due manovali e Salvatore Aida, accesero i “mecchi”
delle lampade, che gli abitanti del Cortile s’affacciarono, per vedere il
lustro che proveniva da fuori. Andrea, che intanto, era salito a casa, disse a
Maddalena di affacciarsi al balcone, vedendo l’opera che aveva realizzato
Andrea, Maddalena Belvedere restò senza parole. Pietro Palagonia, vedendo anche
lui il lustro, restò così commosso, che disse alla moglie di mettere nella
pentola della pasta, per offrirla e fare festa con il vicinato, alla pasta si
unirono anche delle patate, cotte nei tegami della famiglia Flora. Poi,
Gioacchino Fortezza prese il marranzano, Filippo Comando il “friscaletto” di
canna e Pietro Palagonia il mandolino, cantarono la ballata “Nicuzza”.
Salvatore Aida commentando l’illuminazione e vedendo quello che aveva
realizzato Andrea Montagna, disse alla moglie Leonarda Esposito, con
riferimento alla venuta di Andrea e Maddalena, queste parole: quartara (brocca)
nuova, fa sempre scruscio (rumore) buono!
LE SERE D’INVERNO
Le strade erano, in genere asfaltate con
delle pietre, alcuni passi solo con della terra. Non esistevano grandi vie nel
paese ad eccezione delle vie maestre lunghe in genere diversi metri di
larghezza. Qui si scorgeva qualche cavallo, ma più di frequente un mulo con il
suo carico, o attrezzato con un carro al trasporto di persone. Le strade, erano
popolati, da animali domestici, polli, maiali, capre e gatti e naturalmente dai
bambini che vi giocavano. La strada era inoltre popolata da botteghe varie e da
venditori ambulanti che alzavano la voce per pubblicizzare i prodotti. Andrea
che intanto era diventato il capo di una nuova famiglia, si serviva
nell’educazione dei figli dell’aiuto di Maddalena. Ambedue sognavano che i
figli maschi, avrebbero continuato la professione del padre mentre le figlie
femmine che avrebbero molto presto trovato un marito. Le giornate nella loro
casa, passavano con serenità, era un’abitazione povera con pochi suppellettili
ma dove si respirava un calore particolare: il calore umano, il rispetto e
l’unione della famiglia. Di giorno i loro bimbi svolgevano volentieri giochi
secolari nel cortile con gli altri bimbi. Nelle sere d’inverno, si stava quasi
sempre in casa, perché c’era molto freddo; quando pioveva forte e si sentivano
i canali dell’acqua scendere nella Via Ecce Homo e nelle vie limitrofe,
Andrìa, riuniva i suoi bimbi, Filippo, Rosa, Domenico, Luigi, Saverio, Vito,
Pietro e Calogero (Caliddò) nella stanza dove c’era il lume a petrolio sopra il
canterano, per distrarli dai temporali. Andrìa, riportava discorsi antichi,
come quello che si snodava sulla rappresentazione della Madonna su di un balzo
del monte Triona. Andrìa, nell’Alba sul Triona, diceva che in tempi passati, in
inverno, c’era per molti mesi la neve e che inoltre, capitava che sul calar
della notte, c’erano sempre tante tempeste, con l’acqua che, scendeva dalle
montagne e si univa con quella dei rivoli del paese, divenendo un fiume che
percorreva l’abitato. Per questo, era nella bella stagione che c’era la festa
al Santuario della Madonna del Balzo, nella prima quindicina di agosto, all’alba. Era all’aurora,
appunto, che si intravedeva il Paradiso all’orizzonte, da sopra le montagne.
IL MIO PAESE
Gli anni passarono, anche per Calìddo,
figlio minore di Andrìa e Maddalena, giunse il tempo di partire per il
militare. La luce del giorno non c’era più. La notte con le sue ombre copriva
Bisacquino. Con il suono della campana della Matrice che annunziava l’origine
della giornata, Calìddo, si alzò e usci nel cortile. La prima persona che
Calìddo vide, in lontananza fu Pietro Fiume che, con una quartara di creta, si
stava recando alla fontana. C’era un freddo intenso, ed i fanali a petrolio
coloravano, nel buio, il cielo blu scuro di una luce esclusiva, mentre la neve
continuava a cadere nel cortile e nelle strade adiacenti. Nel frattempo, altre
due persone si erano avvicinate alla fontanetta, di cui una di loro aveva
gettato un rapido sguardo di arrivederci verso Calìddo.
Calìddo, aveva avuto il tempo, di intuire
quella lettura veloce, quando cominciò a nevicare con più intensità. Così,
mentre cadeva la neve e soffiava forte il vento, Calìddo Montagna e Bianca
Florena, cominciavano, quella nuova alba tra vicoli stretti e quasi al buio.
Bianca Florena aveva un viso grazioso, si
occupava di prepararsi il corredo ed era una persona sistemata. Calogero
Montagna, poco dopo, se ne sarebbe andato con il treno delle dodici, a
salutarlo alla stazione c’erano tutti i parenti. Calìddo, giunse tra i monti al
confine con la Francia due giorni dopo, intorno alle cinque
della sera, di quel giorno di dicembre, c’era la neve. Indossava un vestito
blu, al quale aveva attaccato un paltò. La caserma era molto grande, conteneva
una lunga e larga piazza d’armi e molti reparti. Dopo di avere preso possesso
dell’equipaggio militare in uso negli alpini e del locale per dormire, Caliddò,
in marcia si avviò con gli altri verso la mensa, che si trovava in un altro
padiglione. Erano circa le dieci della sera, quando fece rientro nel
dormitorio. Passarono circa due anni da quel giorno, cominciava per l’Italia,
la seconda guerra mondiale. Calogero, era già, in trincea, tra quei monti. Un
giorno come tanti, fu organizzata un’azione di avvistamento, per cui la
pattuglia composta da quattro persone tra cui Calìddo, uscì dal campo al
mattino.Nel pomeriggio, al rientro, sopraggiunta una bufera di neve, Caliddò si
perdeva tra quei monti.Allora, più tardi, si rifugiava in una caverna per
proteggersi dalla forte nevicata.
Nevicava forte quella sera, l’oscurità era
scesa e la grotta era ben illuminata da una esile luce, provocata dal fuoco
accesso da Calìddo per riscaldarsi. Calìddo aveva notato che la caverna
sicuramente già era stata il rifugio di qualcun altro perchè all’interno aveva
trovato delle minutaglie.
Durante quelle ore, Caliddò, pensava, ogni
tanto, a Bianca Florena, la donna che non poteva allora figurarsi sarebbe
un giorno diventata sua moglie. Poi, immaginava il suo paese, quello che
più l’affascinava in quel pensare, era il vedere le strade e le viuzze sotto
un’altra luce, quella della lontananza. Bisacquino, appariva, stupendo, come
sempre, con i suoi fanali, la piazza, le fontane, le strade acciottolate, le
botteghe e quelle persone che vi camminavano. Fu allora, che Calìddo,
aspettando l’alba, rivisse quelle splendide sere d’inverno, quando suo padre,
raccontava l’alba sul Triona. Pensò Caliddò come sarebbe bello rivedere "il mio paese".
RITORNO A CASA
Calìddo Montagna, giunse con il treno
delle nove della mattinata, quella calda giornata di agosto, a Bisacquino, in
contrada Stazione. La seconda guerra mondiale era ormai un triste ricordo,
finalmente, quel giovane soldato, partito circa nove anni prima, ritornava al
suo paese. Calìddo, era un uomo di ventisei anni, occhi cerulei, capelli castano
scuro. Indossava una mimetica verde, alla quale aveva unita una casacca pure
verde oliva e portava, con se, un tascapane. Alcuno aveva notizia del suo
arrivo quel giorno. Per questo, Calìddo, andò, a piedi, verso l’abitato, prese
davanti un mulino e dentro il paese costeggiò Santa Caterina, poi, si diresse
per la Badia. Percorse
un viale, poi un vicolo, superò alla sua sinistra la Chiesa di
San Francesco d’Assisi e si trovò nella Via D’Accurso, esponendosi nella larga
e panoramica scalinata dell’Ecce Homo, così, giunse nel Cortile Fontanetta.
Come quand’era negli Alpini e scalava una montagna tra la neve, con la stessa
determinazione che ogni passo in più è la conquista di un sogno, su quel
davanzale, Calìddo, girò il lucchetto della porta d’ingresso ed in quella umile
dimora vide una donna con i capelli divenuti vecchi, seduta là in un angolo,
era la madre, Maddalena. Gli occhi di Calìddo e Maddalena s’incrociarono solo
per un attimo, ma quel momento a Calìddo come a Maddalena non sembrava vero e
forse non sarebbe bastata una vita intera per raccontare quel sentimento.
Calìddo, portava con se una foto di Maddalena, l’aveva guardata ogni mattina,
all’inizio di ogni nuovo giorno, anche quando ormai era scolorita, l’aveva
stretta specialmente a se nelle sere buie, quando la demoralizzazione, in
quella guerra senza senso, prendeva il sopravvento e lui, aveva avuto la
sensazione di non farcela. Calìddo, in quei momenti aveva capito però, anche,
lo scopo della vita, negli insegnamenti ricevuti da Maddalena: la devozione
alla Madonna del Balzo, il fare del bene, la pazienza ma soprattutto la gioia
di vivere, l’accontentarsi del necessario e l’umiltà. Maddalena, era una
persona semplice, aveva lavorato tutta una vita, aveva incontrato grandi dolori
ma anche tante gioie, con Andria aveva vissuto tutta una vita creando quella
famiglia che sarebbe continuata nell’eternità, come in quel giorno, quando
Andrìa, gli aveva dichiarato con una voce ormai esile, che non sarebbe entrato
nel Paradiso, se prima non l’avrebbe raggiunta e così, poi era volato via.
Maddalena, ogni alba, alzando gli occhi al Cielo, aveva pregato ed aveva
chiesto di poter rivedere suo figlio Calìddo, almeno una volta, prima di morire
ed ora in quel momento, lei era convinta, che Dio nella sua bontà infinita
glielo aveva consentito. Alcuni dei fratelli e delle sorelle di Caliddò erano
già sposati, per questo di lì a poco quella casa si popolò di tanti piccoli
Andrìa e Maddalena e di altri nipoti di Caliddò, addirittura uno portava il suo
nome. Nella fantasia, Caliddò, le aveva immaginate diverse le stanze di casa
sua, più conosciute, adesso, nella realtà, anche se tutto era come prima, non
riusciva a conciliare la sua immagine con quella vera. Nella prima stanza sulla
destra, in un’alcova c’era un letto matrimoniale in ferro battuto, ordinato con
due materassi di lana per ogni lato, delle lenzuola ricamate ed una cotonina
color porpora. Nella parte destra del mobile del letto vi era un comò con tre
cassetti, con lo specchio unito al muro, mentre nella parte sinistra delle
sedie ed un tavolino, riparato da un tessuto spesso pregiato, tra il grigio ed
il verde chiaro, invece, nella parte frontale c’era un canterano, sopra il
quale era sistemato un ritratto di Andrìa, con accanto una lampada ad olio.
Calìddo, davanti a quella foto asciugò una lacrima, era stato bello avere avuto
un padre come U Pà, Andrìa. Nell’altra camera, si trovavano il forno a legna e
la cucina a vapore, che avevano come collegamento dei mattoni di ceramica tra
il grigio chiaro e l’azzurro; era quella anche la stanza da pranzo, con un
tavolo, un armadio, una credenziera ed alcune sedie.
A mezzogiorno e mezzo, tutti i figli di
Maddalena, compresi quelli maritati con le rispettive famiglie, si
ricongiunsero per far festa a Calìddo. Nella stanza da pranzo furono servite
delle lasagne di casa in delle tavole, chiamati i scanatùri, utilizzate anche
per far asciugare al sole la salsa asciutta o per impastare il pane. Per
Calìddo, sentire il suono di quei cucchiai che s’inabissavano nelle lasagne con
il sugo, nelle tavole, era meglio del concerto della banda musicale, nella
festa principale del paese, perché, quel suono aveva il sapore di casa. Aveva
ragione Andrìa, quello era il miglior piatto del Paradiso.
Alle tre e quindici del pomeriggio, Caliddo uscì di casa, quasi davanti la sua porta ad aspettarlo c'era Bianca, che aveva saputo del suo arrivo, quel giorno anche se non era domenica era vestita in maniera molto elegante agli occhi di Caliddo sembrava una principessa, quelli occhi grandi castani, i capelli lunghi che scivolavano nelle spalle, il suo sorriso ed il suo portamento testimoniavano questo agli occhi di Caliddo. Bianca, non disse nulla, ma Caliddo le disse che era molto bella. Tutti e due, cose giuste, Caliddò e Bianca accanto facevano figura.
Più tardi, sotto un
paracqua scuro, quella sera che diluviava, Calìddo, scendeva a piedi una
stretta scalinata nella Via Conceria, lasciandosi alle spalle la Piazza Triona; intanto vedeva che nel paese, visto che era il primo giorno dopo tanto tempo che pioveva, che la gente di nascosto gettava nella lavina tante cose: sterro, sabbia, carbone, legname, pezzi di stoffa mobili ormai vecchi.
Poi,
superato uno scacchiere, Caliddo si era riparato, sotto l’arco della Madonna della
Volta, perché diluviava. Di tutti gli archi di Bisacquino, questo, per com’era
stato costruito era il più caratteristico ed aveva, inoltre, all’interno
un’edicola votiva della Madonna del Balzo. Nello stesso momento, quella sera,
anche Luigi Valle, proveniente dalla Via Florena, si riparava, dal temporale,
sotto l’arco. I due, si misero, a commentare, la gran quantità d’acqua,
proveniente dal ponte della piazza e Luigi Valle, vedendo nella lavina, un corso d'acqua che scorreva al centro della strada quando pioveva, i pezzi
vecchi di mobilia ed il materiale dell’edilizia, affermò, con spirito di
osservazione:
<< questa sera, chi si può aiutare,
s’aiuta! >>.
Saverio Di Vincenti