Saverio Di
Vincenti
Giovanni
Scavotto
Il Pastore
alle sue Pecorelle
A mio madre e mio padre dai quali ho appreso ad avere fiducia in Dio
PRESENTAZIONE
Per quelli che come me, hanno vissuto nel
centro storico di Bisacquino, è comprensibile svelare i segni di generazioni
passate che vi hanno vissuto, le chiese, gli archi, le case di mattoni e di
pietre, affrontando il tempo, diventano testimoni muti, per cui io ho cercato
di descrivere la loro storia.
Le strade strette e tortuose, le viuzze ed
i cortili del centro storico, sono anche le strade dei giochi, infatti lì,
trascorrevamo ore ed ore, divenendo depositari dei segreti che quei luoghi
svelavano, tra quei sassi amici.
Era lì, che si incontravano i primi amici,
con i quali si affrontavano i primi dialoghi sulla storia trascorsa del nostro
paese, in quei luoghi, sorti all’ombra della chiesa Madre, che con il suono
delle sue campane, segnavano i momenti più belli della nostra vita e con
noi che inconsapevolmente, attraversavamo le strade di questa storia che vi
vado a raccontare.
Torniamo, in questo volume, indietro nel
tempo, tra quelle strade del centro storico, precisamente al tempo in cui visse
il Decano Giovanni Scavotto, a quell’epoca il tenore di vita di molte persone
era basso, la popolazione continuava in gran parte a dedicarsi all'agricoltura
con mezzi ancora rudimentali ed all'artigianato, erano tempi di lunghe carestie
e tumulti popolari. Nelle vie del centro storico, allora abitava gran parte
della popolazione, erano tutte case antiche, appartenute ad antenati, la cui
storia si leggeva tra quelle mura.
In questo contesto, in cui, la Sicilia fu percorsa dai
moti rivoluzionari che portarono all’Unità d’Italia, svolse la sua attività
sacerdotale il Decano Giovanni Scavotto, io qui ho cercato di raccontare la sua
vita; ringrazio Don Lino Di Vincenti, Decano di Bisacquino, per l’introduzione.
L’autore
INTRODUZIONE
Eventi personali approdano al Decano
Giovanni Scavotto, che mi è gradito qui richiamare.
Ricordo quando avevo sedici anni, era il
1952, quando, trovandomi, con mio fratello Don Calogero Di Vincenti, al
Cimitero di Bisacquino, perché lui era stato nominato Decano Arciprete del
paese, il custode Sig. Cosimo Bruno, ci volle accompagnare a vedere il luogo
dove era stato sepolto il padre Decano Giovanni Scavotto. Il sepolcro si trovava
nel viale principale, all’ingresso del Camposanto, nella nuda terra, era
circondato da alti cipressi e nella parte centrale era impiantata una Croce.
Ci trattenemmo in quel luogo, giusto il
tempo, di recitare qualche preghiera e di apprendere dal custode delle notizie
sul padre Decano.
A cominciare da allora, appreso, che non
c’erano parenti in vita, quel sepolcro è stato curato anche dai miei familiari,
per cui nei confronti del Decano Giovanni Scavotto è nata una tradizione
devozionale.
Ritornai in quel luogo nell’ottobre del
1977, quando, nominato Decano – Arciprete, a seguito della scomparsa di mio
fratello, seguendo le sue orme ho fatto visita ai defunti, rievocando davanti
quella sepoltura la conversazione di molti anni addietro.
Nel mese di luglio del 2008, Saverio Di
Vincenti, che doveva svolgere una tesi di teologia, mi chiese un consiglio, per
quanto riguarda il Decano Giovanni Scavotto; confidai nelle sue capacità, anche
se comprendevo, che per la limitatezza dei dati e venendo meno le persone che
l’avevano conosciuto, la riuscita poteva essere insicura.
Una volta che il testo è una realtà,
scomponendolo con oggettività, sicuramente ci saranno delle lacune, ma
guardandolo con gli occhi del cuore, rivivremo l’ambiente dei nostri
progenitori, che furono anch’essi parrocchiani del padre Decano.
Un altro fatto che mi piace del testo, è
la presenza di Mons. Giovanni Bacile[1], che per la mia generazione rimane il padre Decano; nei
ricordi d’infanzia penso di averlo visto solo una volta, ma dalle testimonianze
di chi l’ha conosciuto personalmente, come mio fratello Don Calogero, ho capito
che ci si doveva trovare di fronte ad una personalità eccezionale.
Una biografia che mancava, nel contesto di
Bisacquino, quella sul Decano Giovanni Scavotto, affinché i meriti di questo
sacerdote restino scolpiti nel pensiero di tutti e il suo nome permanga nella
memoria delle nuove generazioni.
Decano
Don Lino Di Vincenti
Decano Bellini - primo decano 1746
Capitolo 1
L’UOMO
1.1 LA SUA CITTÀ
In una cornice di colline, monti e
vallate, nell’interno della Sicilia occidentale, si innalza il paese di
Bisacquino, che ricade nel territorio dell’Arcidiocesi di Monreale. Le sue
origini sono saracene e di Bisacquino si parla per la prima volta nell’ottocentoquaranta.
Nel 1183, con diploma del Re Guglielmo il Buono di Sicilia, Bisacquino è il
primo paese a passare sotto la giurisdizione spirituale e temporale
dell’Arcivescovo di Monreale. Un Vicario Foraneo per conto dell’Arcivescovo
sovrintende agli aspetti ecclesiali, un Bàlio e quattro Giurati si occupano
dell’amministrazione del centro abitato.
Un fatto storico distintivo si ha nel
periodo tra il 1660 e il 1664, allorché sul monte Triona, alle cui falde il
paese sorge, si ha la scoperta di un’immagine miracolosa della “Madonna del
Balzo”, quel luogo diventerà il principale centro di culto degli abitanti di
Bisacquino e delle valli confinanti.
Questo periodo è ben descritto dal Can.
Mons. Saverio Ferina, che così illustra l’immagine della piazza principale del
paese:
La piazza
di Bisacquino è stata sempre il centro della vita cittadina fin dall’antichità:
al centro vi era la Chiesa , corrispondente
all’attuale sagrato, davanti all’attuale Matrice; a destra dove è l’attuale
municipio, vi era la sede del Governatore; dove si trova la navata laterale
della Chiesa vi era il fondaco, la taverna, un piccolo albergo, l’abbeveratoio
con quattro cannoli e lo spazio tra la Chiesa e il fondaco serviva come mercato[2].
I bisacquinesi s’incontravano, perciò,
solitamente nella piazza, al centro del paese, dove c’erano delle botteghe di
generi alimentari, delle taverne, il fondaco, le locande, e i saloni da barba,
era in questo posto, tra un convento, il municipio, una fonte di acqua
riversante, la chiesa Madre e un fiume, che sorgevano alcune abitazioni
eleganti, in uno di questi palazzi, che aveva all’interno un cortile e un
pozzo, abitava la famiglia Scavotto.
Nel 1730 è ultimata la costruzione della
nuova Chiesa Madre dedicata a San Giovanni Battista che è sede inoltre di
Vicariato e di Arcipretura.
Nel 1812 con l’abolizione dei diritti
feudali Bisacquino passa sotto il diretto controllo del governo Borbonico per
il secolare mentre un Vicario Foraneo continua a curare l’aspetto spirituale in
rappresentanza dell’Arcivescovo; la
Forania con sede a Bisacquino comprendeva i seguenti paesi:
Bisacquino, Contessa Entellina[3], Chiusa Sclafani, Giuliana, Campofiorito e San Carlo.
Nel 1855 si realizza la strada di
collegamento di Bisacquino con Palermo, che fino a quel tempo si elevava tra
sentieri in forte pendenza e sassosi.
Nel periodo in cui vissero i nonni del
Decano Scavotto, in un ambiente avvinto alla Sicilia rurale, la vita cittadina
si sgrovigliava tra un migliaio di fabbricati. Gli abitanti del luogo erano
circa seimila, solo poche famiglie erano facoltose, la gran parte invece
vivevano in condizioni misere. Le attività principali erano l’artigianato e
l’agricoltura. Le giornate iniziavano molto presto, si pranzava verso
mezzogiorno e si andava a dormire al tramonto; alle manifestazioni religiose
partecipavano quasi tutti gli abitanti del luogo, generalmente, le funzioni
religiose, finivano prima del tramonto, perché di notte il paese era sempre al
buio; c’era molto freddo d’inverno, per alcuni mesi l’anno il paese, quasi di
continuo, era coperto di neve.
Venerabile Decano Giovanni Bacile
1.2 LA CHIESA DEL SUO TEMPO
Nel 1846 morì Bartolomeo Alberto
Cappellari che come Sommo Pontefice aveva preso il nome di Gregorio XVI, per la
cattedra di San Pietro fu scelto il cardinale Giovanni Maria Mastai Ferretti che
assunse il nome di Pio IX. Con lui si ebbe la promulgazione del dogma
dell’infallibilità del Papa proclamato dal Concilio Vaticano I. Alla morte di
quest’ultimo, il 20 febbraio del 1878, successe Gioacchino Vincenzo Raffaele
Luigi Pecci col nome di Leone XIII, che morì il 20 luglio del 1903. Leone XIII,
con l’enciclica Rerum Novarum del 1891, diede inizio ad una dottrina sociale
della Chiesa.
Alcuni sacerdoti già, come Bosco,
Cottolengo e Cusmano[4],
nella Chiesa, avevano gettato le basi per questa dottrina, prova ne è quanto
esprime il Decano Don Calogero Di Vincenti sul periodo:
Don Bosco
non era mai stato in un luogo di pena. Quando entrò e vide molti giovani che se
ne stavano inoperosi a espiare colpe delle quali non erano interamente
responsabili, ebbe una rivolta istintiva. Pensava che non fosse giusto tutto
quello e che i legislatori nella loro scienza non sapevano che la giustizia è
una crudeltà quando non è animata dallo spirito cristiano. Sentì nell’animo uno
strazio come se quella gioventù gli appartenesse e desiderò di cancellare
quell’atto di disonore che pendeva su di essa. Pensò e ripensò che forse tutti
quei giovani se avessero trovato qualche cuore amico accanto che li avesse
istruiti amorevolmente non avrebbero fatto quella fine. Visitando gli ospedali
ciò che più lo impressionò furono le malattie della gioventù, ma il suo cuore
ebbe veri spasimi di dolore nel vedere centinaia e centinaia di ragazzi nelle
vie della città dalle facce avvizzite, che vivevano di piccoli furti e che erano
in potenza gli anarchici del prossimo domani[5].
Nell’Arcidiocesi di Monreale nel periodo
che va dal 1813 al 1897 successero quattro Arcivescovi, il dotto Mons. Domenico
Benedetto Balsamo, Mons. Benedetto D’acquisto che venne, tra l’altro, arrestato
perché si oppose all’espropriazione dei beni ecclesiastici, Mons. Giuseppe
Papardi e Mons. Domenico Gaspare Lancia di Brolo[6] che
affrontarono con cautela il difficile momento che la chiesa Cattolica
attraversava.
Decano Pasquale Scavotto
Giovanni Scavotto sortiva i natali nel
paese di Bisacquino, il 5 gennaio dell’anno 1813, sullo scenario del suolo
passato dai genitori don[8] Filippo e donna Antonina Dolce[9]; entrava
nella chiesa Cattolica, per mezzo del battesimo, la mattina successiva,
impartito, nella chiesa Madre di Bisacquino[10] dal
cugino Don Giuseppe Scavotto; per padrini aveva gli zii, don Ignazio Scavotto e
donna Maria Rosa Scavotto, fratello e sorella del padre; gli fu scelto il nome
di Giovanni per riguardo al nonno materno.
I genitori gente agiata, che vivevano nel
quartiere della piazza[11],
cui non era ignoto il sacrosanto lavoro che grava sui padri di famiglia per
l’educazione religiosa e civile della propria prole, assai di buona ora
cominciarono a instillare quei semi di pietà che a suo tempo dovevano produrre
gli abbondanti frutti su di lui e sugli altri figli: Giuseppe, Rosalia,
Antonino e Antonino Francesco.
Gravissimi dispiaceri venivano ad
amareggiarlo fin dal principio della vita, difatti il 23 ottobre del 1819
perdeva la madre, che veniva sepolta nella chiesa del Carmine a Bisacquino; era
figlia di don Giovanni e donna Domenica Genovese.
Egli il 9 maggio dell’anno 1823 nella
chiesa Madre di Bisacquino riceveva il sacramento della Cresima impartito
dall’Arcivescovo di Monreale Mons. Domenico Benedetto Balsamo, padrino era don
Carlo Noto[12]; frequentava la scuola primaria a
Bisacquino dai padri Carmelitani, apprendeva qui i primi rudimenti della
teologia quando all’età di undici anni approdava al seminario dei chierici
rossi di Monreale per gli studi superiori.
Il padre, pur avendo già un altro figlio
in seminario, non gli condizionava un si nobile sentimento, anzi lodava pure
ben volentieri di vederlo come forza del Signore.
In seminario era ammesso
dall’Arcivescovo Balsamo[13] e dal rettore Caruso, la sua modestia
ammirevole, il suo linguaggio retto e ispirato ai principi della religione
cattolica, un carattere determinato lo rendevano bene accetto ai superiori. Egli che aveva grande lodo di
ricchezza della vita ecclesiastica nella quale il Signore aveva fatto piovere
per lui le più elette benedizioni, per nulla voglioso delle attrattive della
vita mondana amava meglio di imitare Gesù Cristo nella sua vita nascente e
perciò preferiva di rimanere fra i blu silenzi della vita del seminario,
scegliendo Iddio, come fonte della sua eredità. I superiori, infatti, che
vedevano come le virtù progredivano celermente in lui ne apprezzavano l’ordine
e la dedizione agli studi; parimenti egli faceva sue le parole di San Paolo
nella lettera ai Filippesi:
Tutte
le cose vere, tutte le cose oneste, tutte le cose giuste, tutte le cose pure,
tutte le cose amabili, tutte le cose di buona fama, tutte le cose virtuose e
degne di lode devono formare l’oggetto dei vostri pensieri[14].
In data 7 marzo 1829 il fratello maggiore
Giuseppe Scavotto si ordinava sacerdote nel duomo di Monreale.
In data 10 febbraio 1836 Giovanni Scavotto
conseguiva il ministero di accolito e in data 14 settembre 1836 quello
dell’ordine di diacono, così, all’età di ventiquattro anni, in data 8 febbraio
1837, riceveva l’ordinazione sacerdotale dall’arcivescovo Mons. Domenico
Benedetto Balsamo nel duomo di Monreale; era assegnato a Bisacquino come
collaboratore della chiesa Madre, otto giorni dopo compiva il suo ingresso nel
paese natio, era festeggiato dalla popolazione. Nella chiesa Madre il Decano
Mancuso teneva il discorso di presentazione, poi lui celebrava la sua “prima messa”.
Il giorno 8 settembre del 1837 in un lazzaretto in contrada San Marco
nei pressi di Bisacquino amministrò l’estrema unzione al padre contagiato dal
colera,; non molto tempo dopo
morì anche lo zio prete Francesco, fratello del padre, che lasciò i terreni di
sua proprietà ai figli di Ignazio mentre la casa ai figli di Filippo.
Conseguiva la laurea in Teologia nella
Regia Università degli Studi di Palermo il giorno 9 di aprile del 1842.
Il 15 aprile del 1847 moriva, a soli
trentotto anni, la sorella Rosalia Scavotto, che non si era sposata per
assistere i due fratelli sacerdoti; alcuni anni dopo moriva anche il fratello
medico Antonino Francesco.
In quegli anni[15] Egli
superava il concorso per far parte dell’insigne Collegiata della chiesa Madre
di Bisacquino[16],
ne era prima mansionario e poi canonico; in seguito era nominato cappellano
della Chiesa di San Nicolò.
Nel 1866[17] a
seguito della legge espropriativa dei beni ecclesiastici questa chiesa con
l’annessa Badia[18] passavano al Comune di Bisacquino,
così come i conventi del Carmine, di Santa Caterina e dei Cappuccini.
Il 14 aprile del 1873 moriva il Decano
Giardina Francesco ed era nominato Economo dell’Arcipretura San Giovanni
Battista il Canonico Stanislao Mancuso.
L’Arcivescovo Mons. Giuseppe Papardi,
dietro consiglio del Vicario Generale Giuseppe Vaglica, di Mons. Salvatore
Milazzo[19] e del fratello Can. Gregorio Milazzo,
scelse lui come Arciprete di Bisacquino, per cui non si bandì il concorso per
Decano[20].
Il 19 settembre del 1876, Giovanni
Scavotto, era nominato Decano Arciprete[21] nonché
Vicario Foraneo di Bisacquino, era il primo Decano non di nomina regia ma
pontificia per l’abolizione dei Legati[22].
L’Arcivescovo[23], non si sa per quale motivo nei
riguardi, volle che l’investitura avvenisse per la festa principale del paese,
così, il 3 maggio del 1877 si celebrava nella chiesa Madre di Bisacquino la
cerimonia di nomina[24].
I suoi sessantaquattro anni di età, i
capelli grigi e quegli occhi celesti stanchi fecero presagire che sarebbe stato
un Decano di transizione, ma non fu così.
Mons. Giovanni Bacile e lo storico locale
Can. Don Bernardo Lucia, dissero di lui che affrontava il suo incarico da uomo
aristocratico, dotto, caritatevole, autoritario, energico[25], centrando sulla sua persona
l’immagine della Chiesa locale, valorizzando la figura del Decano quale capo
del paese[26].
Il Decano Giovanni Scavotto restava a
vivere nella casa paterna, nel quartiere della piazza[27], con il fratello sacerdote
Giuseppe, un domestico dal nome Salvatore e una donna di servizio dal nome
Maria: il domestico lo accompagnava in ogni luogo, in uniforme, come un
maggiordomo; la donna di servizio, accudiva a tutti i lavori di casa.
Fu un grande oratore, dal pulpito della
chiesa Madre le sue infiammanti omelie coinvolgevano, era il pastore che
parlava alle sue pecorelle.
Nel periodo della sua attività
parrocchiale tre fatti lo distinsero, che svilupperemo nei capitoli successivi,
la carità verso i poveri, l’attaccamento al suo paese e la volontà di difensore
accanito della Chiesa Cattolica, anche per questo, nella chiesa Madre
all’altare di San Pietro, un lumino, senza interruzione, doveva rimanere acceso
in perpetuo, a indicare la tradizione del messaggio evangelico unificato nella
figura del Santo Padre.
Il 20 agosto del 1877, benediva dietro
autorizzazione dell’Arcivescovo, il Camposanto di Bisacquino, attiguo alla
chiesa della Maddalena, perché cimitero cristiano compreso nella citata chiesa,
convincendo la popolazione locale che una delle cause dell’epidemia del colera
era dovuta alla sepoltura nell’abitato dei defunti.
Il 4 settembre del 1877 moriva, il fratello
prete Giuseppe Scavotto, che era stato tra i fondatori della Congregazione del
SS. Sacramento[28].
Il 14 aprile del 1878, pose un quadro,
dipinto ad olio, del Decano Francesco Giardina, che era stato suo predecessore,
nella sacrestia della Chiesa Madre.
Il giorno 8 luglio del 1878 istituiva una
commissione per l’acquisto degli arredi sacri appartenuti alla badia di San
Nicolò, nominando dei canonici giovani: Don Costantino Margiotta, Don Vincenzo
Pizzitola, Don Vincenzo Faccidomo e Don Salvatore Ragusa rettore della chiesa[29].
In data 1 gennaio 1880 istituiva nella
chiesa Madre tre giorni di orazione verso il SS. Sacramento che duravano
l’intera giornata; tradizione che continua tuttora ogni inizio d’anno.
Il 12 agosto 1880 nacque a Bisacquino da
Giuseppe Bacile e Maddalena Pizzitola il servo di Dio Giovanni Bacile. A
Bisacquino compì l’istruzione elementare e il ginnasio alla scuola dei Can.
D’Armata e Ceravolo; di famiglia povera, aiutato economicamente oltre che dalla
sua famiglia anche da un ente ecclesiastico locale entrò in seminario il 15
novembre del 1896.
Nel 1886 con il denaro donato
dall’organista della chiesa Madre Sig. Gaspare Campisi, si realizzava una
cappella in onore alla Madonna di Trapani, in contrada San Ciro opera
dell’artista locale Alberto Guarino.
Sempre, in questo periodo, furono adornate
di stucchi la chiesa di San Vito, la chiesa di San Francesco di Paola, la
chiesa del Rosario e la cappella dell’Addolorata nella Chiesa Madre.
Nel 1889 per rendere più belle le funzioni
nella chiesa Madre furono apportare delle innovazioni all’organo esistente
secondo il metodo Giorgianni[30], inoltre nella sacrestia della stessa chiesa era
collocato un imponente e splendido stipo per la posa degli indumenti sacri[31], costruito
dall’ebanista bisacquinese Bernardo Sardegna.
L’umanità degli anziani che ha come
caratteristiche l’età, la prudenza, l’esperienza, la maturità intellettiva e
affettiva, la responsabilità pastorale e molto spesso sociale caratterizzavano
gli ultimi anni della sua vita[32].
Il 29 ottobre del 1889 su suo impulso era
nominato cappellano sacramentale Don Giuseppe D’Armata, persona colta ma con
gravi problemi cardiaci, che moriva a soli quarantacinque anni d’età[33].
Sempre in quel periodo per autorizzazione
dell’Arcidiocesi poteva portare lo zucchetto nero come un Vescovo durante la
celebrazione della messa.
Nel 1892 fu collocato un moderno orologio
in un torrione accanto al fronte esterno della Chiesa Madre, opera degli
artigiani locali Scibetta.
Nel 1893 nasceva a Bisacquino il Fascio
dei Lavoratori, movimento di contadini capeggiato in paese da Nunzio Giaimo e
Vito Cascioferro. I contadini rivendicavano l’esproprio delle terre
appartenenti alla borghesia locale, alcuni preti locali erano insultati dai
socialisti[34].
Il 21 giugno del 1893 moriva il fratello
medico Antonino.
Nel 1894 nasceva in paese l’opera pia “Boccone del Povero”, nella
chiesa di Santa Caterina, così scrive Maria Teresa Falzone:
Ma l’opera
era virtualmente presente in paese fin dal 1887, quando il Cusmano, ospitando
nei suoi istituti di Palermo alcuni poveri, anziani e piccoli ciechi di
Bisacquino e di Corleone, dichiarava di attendere tra i Bocconisti, un buon
sacerdote da Bisacquino e buone speranze per altri frati; si trattava del Sac.
Giuseppe Noto; rimase però solo
una speranza. Nello stesso anno dal paese venne la domanda di fondazione di un
istituto di mendicità, diretto dalle Serve dei Poveri. Seguì un carteggio e
altre trattative tra il Cusmano, le autorità civili ed ecclesiali di Bisacquino
e degli altri paesi
vicini, mentre frati bocconisti vi si recarono per la questua[35].
Agli inizi del 1897 sicuramente le sue
condizioni di salute non erano più buone, si evince da un atto del 25 marzo del
1897, nel quale a presiedere una riunione del Capitolo è il tesoriere che è la
seconda dignità[36].
Il 18 maggio del 1897 nasceva nella sua
parrocchia, perché figlio di Bisacquinesi, il noto regista Frank Capra che era
battezzato lo stesso giorno nella Chiesa Madre di Bisacquino. Abitava in paese
sino all’età di sei anni poi emigrava con la famiglia negli Stati Uniti.
Fu autore di film come “La vita è meravigliosa”, “E’ arrivata la felicità”,
“Mr. Smith va a Washington”, “Orizonte perduto”, “Angeli con la pistola, e
“Accadde una notte”, Frank Capra si descriveva così:
I miei segreti sono la
religiosità e la capacità di essere vicino alla gente. Se racconti storie nelle
quali il pubblico si identifica, allora l’attore diventa una persona normale e
si compie la magia del cinema[37].
L’11 giugno del 1897 il Decano Giovanni
Scavotto scriveva all’Arcivescovo di Monreale questa lettera:
Le arguzie
conversazioni di questa chiesa parrocchiale sempre crescenti; la mia età, che
vicina alla metà dell’anno ottantaquattro, mi ha svigorito il corpo e la mente;
ed un morbo asmatico con tosse frequente, che giorno e notte mi travaglia il
petto e lo stomaco e mi priva non solamente del sonno, ma anche della libertà
di uscir fuori di casa, ove l’aria umida o piccola è ostile all’espurgo
del petto, mi provocano ad iniziare il discarico dei miei oneri colla totale
dimissione dell’anime che impone maggior responsabilità. Pertanto con perfetta
osservanza umilio all’Ecc.ma e R.ma la presente mia rinunzia di questo
beneficio Curato pregando di accettarla con qualche sollecitudine, e di
provvedere col conferimento di detto beneficio ad altro sacerdote. Fiducioso
nella degnazione dell’ecc.R.ma implorando col bacio del sacro anello la pastorale benedizione
per me e questo popolo, mi confirmo. Umilmo e fermo servo.
Il 25 giugno del 1897 l’Arcivescovo di
Monreale Mons. Gaspare Lancia di Brolo gli rispondeva:
Rev.mo Sig.
Decano – con grave nostro dispiacere abbiamo appreso, della sua riverita
dell’11 corrente, l’infermità da cui la S.V . è travagliata, e facciamo voti a che
presto ricuperi la sanità pel bene ancora di codesti fedeli. Essendo anche
nostro desiderio che la S.V . si risparmi possibilmente dalle
sollecitudini della cura, piuttosto che aderire alla sua rinunzia che per
soverchia delicatezza la S.V . ci ha voluto rassegnare, La invitiamo
a proporci un soggetto che possa coadiuvarla e degnamente rappresentarla nel
disimpegno dell’ufficio parrocchiale; poiché sarebbe Nostra intenzione, se non
vi incontri difficoltà, deputare a coadiutore della S.V. nella carica di Vicario
Foraneo il Rev. Can. Tesoriere Don Costantino Margiotta col titolo di
ProVicario Foraneo. In attesa di suo riverito riscontro la benediciamo nel
Signore[38].
La sera del 26 giugno del 1897, nella sua
stanza da letto, dove un quadro di San Nicolò e un altro della Madonna di
Pietralunga vi erano posti, fra le lacrime di quanti lo conoscevano, la sua
Anima saliva verso il cielo.
La notizia di quel triste ego si
diffondeva nel paese colla rapidità del baleno. Si che ogni ordine di cittadini
ne fu commosso: i sacerdoti perché perdettero il modello della virtù; i
virtuosi perché perdettero il più valido cooperatore nel bene; i poveri infine
piansero perché perdettero il loro padre amatissimo.
Terminava con lui la famiglia Scavotto
perché non vi erano eredi.
Il 27 giugno del 1897 alle ore 9,00 il
Can. Costantino Margiotta con telegramma postale n. 837 così informava
l’Arcivescovo di Monreale Mons. Gaspare Lancia di Brolo:
Ier sera munito Sacramenti
moriva Decano Scavotto aspettanti suoi provvedimenti parrocchia[39].
Fu seppellito nella nuda terra, senza
alcuna iscrizione per sua scelta, nel cimitero della chiesa della Maddalena, la
popolazione che partecipò in maniera rilevante[40], dispose che fosse seppellito
all’ingresso del Camposanto al primo posto[41].
Dopo di lui Bisacquino ha avuto numerosi e
colti sacerdoti, tutti si sono contraddistinti come dei buoni sacerdoti e per
il rispetto nei confronti degli indigenti.
Mons. Salvatore Pizzitola[42], in
seguito, scrisse queste parole nelle quali possiamo racchiudere tutto il clero
locale:
Io mi sento
in comunione con i miliardi di uomini che vissero in passato, con i miliardi di
uomini di oggi, e con i miliardi di uomini del futuro.
1.4 LA FAMIGLIA SCAVOTTO
Trattandosi di una famiglia che ha vissuto
più di centocinquanta anni fa e mancando ormai testimoni, è stato un lavoro
difficoltoso il poterla ricostruire, ho dovuto fare delle ricerche in diversi
archivi e in alcune biblioteche.
Nello stemma della famiglia Scavotto
all’interno di un cerchio si trova uno scudo diviso in due parti: in un lato si
trova in alto un Angelo che veglia su di un castello, che ha una torre grande e
poi quattro torri più piccole, nell’altro lato una croce redenta con tre stelle
e due ramoscelli uno di ulivo e uno di pino.
Del nonno Giuseppe Scavotto[43] si sa che aveva due fratelli sacerdoti
Vito e Domenico, sposò Pellegrina
Caterina Carlino, quest’ultima apparteneva a una famiglia nobile, da cui
ricevette in eredità il feudo di Tarucco. Dal loro matrimonio nacquero quattro
figli Ignazio, Francesco, Maria Teresa e Filippo. Ignazio Scavotto, il
primogenito, che fu suo padrino, esercitò la professione di medico e sposò Rosa
Consiglio, anch’essa appartenente a una famiglia benestante, vissero nel
quartiere del Carmine in una grande casa. Ebbero cinque figli Luigi, Giuseppe,
Pasquale, Gioacchina e Francesco; Ignazio Scavotto morì il 26 ottobre del 1825. Maria Rosa Scavotto, sua
madrina di battesimo, fu suora dell’Ordine di San Benedetto nel monastero di
San Nicolò a Bisacquino, vi entrò con una dote, per questo ebbe il titolo di
Signora, morì il 2 aprile del 1834. Francesco
Scavotto, si ordinò prete e fu in seguito canonico del Capitolo della
chiesa Madre di Bisacquino. Alla sua morte lasciò la sua casa ai figli di
Filippo e i suoi terreni ai figli di Ignazio. Filippo
Scavotto, sposò Antonina Dolce ed ebbero cinque figli: Giuseppe, Rosalia,
Giovanni, Antonino e Antonino Francesco.
Dopo la morte di Ignazio e Filippo, una
causa fu intentata in data 12 maggio 1845 contro i loro figli, dalla Commenda
della Magione nella persona di Marchesini Ugo, per dei possedimenti in contrada
Tarucco; per difendersi la famiglia Scavotto scelse l’Avv. Giuseppe Nicolò
Pipitone; la causa finì in favore
del sacerdote Giovanni Scavotto e dei suoi familiari è grazie a quella sentenza
che fece diritto le tasse, furono diminuite nel Corleonese.
Per quanto riguarda i figli di Ignazio
cugini del Padre Decano, Giuseppe
Scavotto prese l’ordine
sacerdotale ed ebbe in seguito il titolo di canonico Ciantro nel Capitolo locale,
colpito da paralisi morì il 30 gennaio del 1859[44]. Gioacchina
Scavotto morì in giovane età
il 5 ottobre del 1826. Pasquale
Scavotto[45] nel 1802 si ordinò sacerdote e il 20
giugno del 1847, a seguito della morte del Decano Don
Gaetano Giaccone, fu nominato Decano – Arciprete di Bisacquino; morì all’età di
settant’anni il 31 maggio del 1850[46]. Luigi
Scavotto, di professione medico, il 30 dicembre del 1827, sposò donna
Fiorenza Giuseppa[47],
anche lei appartenente a una famiglia benestante; da questo matrimonio nacque
un solo figlio dal nome Ignazio che morì ad appena tre anni il 18 giugno del
1831. Luigi Scavotto visse anni sessantadue, morì l’8 maggio del 1857, assieme
ai fratelli fondò un ospedale a Bisacquino[48]. Francesco
Scavotto si ordinò frate
nella Chiesa del Carmine a Bisacquino e da Carmelitano, facendo voto di
povertà, prese il nome di Emanuele.
Dal 1862 al 1866, anno di soppressione delle corporazioni ecclesiastiche fu
padre provinciale. Morì il 31 maggio del 1883.
Terminava con Emanuele la famiglia di
Ignazio e Rosa Consiglio perché non vi furono eredi. Emanuele Scavotto, nel
rispetto delle ultime volontà dei fratelli, lasciò i suoi beni all’ospedale
locale. Il 31 maggio del 1889, fu svolta al Cimitero di Bisacquino una
manifestazione in suo onore da parte dei Commissari Regi, l’ospedale civico fu
chiamato Scavotto e una piazza del paese prese il nome di Scavotto[49].
La tomba del padre Emanuele Scavotto e
della cognata Fiorenza Giuseppa è ancora esistente nel cimitero di Bisacquino,
dalla soprintendenza è stata dichiarato bene artistico.
Il 18 luglio del 1883 il Decano Giovanni
Scavotto si preoccupò di far registrare il testamento del cugino Emanuele,
incaricando suor Leordina Rumore, ex moniale del Monastero di San Nicolò di
Bisacquino; pertanto la
Congregazione della Carità acquisiva, per l’ospedale locale
da loro fondato, l’eredità dei fratelli Scavotto Luigi, Giuseppe e Francesco,
quantificata in lire ottantaseimila trecento trentanove e centesimi
quarantasette, disposta con i testamenti 24 gennaio 1859, 25 giugno 1882 e 18
luglio 1883.
Per quanto riguarda i figli di Filippo
fratelli del padre decano Giovanni Scavotto, Giuseppe
Scavotto ricevette
l’ordinazione sacerdotale in data 7 marzo 1829 e fu tra i fondatori della
Congregazione del SS. Sacramento nel 1847. Fu canonico del capitolo di
Bisacquino. Se ne andò il 4 settembre del 1877, giorno in cui a Bisacquino si
festeggia Santa Rosalia. Rosalia
Scavotto per assistere i due
fratelli sacerdoti, com’era allora prassi, non si sposò, morì, all’incirca
l’età di quarant’anni il 15 aprile del 1847. Scavotto
Antonino, di professione
medico, in data 6 giugno 1851, all’età di trentacinque anni, sposò Tamburello
Bernarda di anni trentadue[50],
alla morte di quest’ultima, in età avanzata sposò Naro Rosalia; non ebbe figli.
Morì il 21 giugno del 1893.
Il Decano Giovanni Scavotto, morì, quindi,
senza che vi fossero eredi, lasciò con testamento i suoi terreni in contrada
Tarucco, estesi circa trenta ettari, alla Matrice di Bisacquino; della sua grande
casa[51] compresa la mobilia volle che
restasse, finché erano in vita ai suoi domestici Salvatore e Maria, i quali non
erano sposati, dopo la loro morte alla parrocchia della Matrice di Bisacquino;
Salvatore, dopo pochi anni si ammalò e morì; invece Maria visse a lungo per
molti anni, usufruttuaria di tutta la grande casa del Decano Scavotto, a loro,
che erano analfabeti, lasciò una rendita in denaro per vivere dignitosamente.
Oggi, i locali fanno parte del convento della “Madonna delle Grazie”, affidato
alle Suore dell’Ordine di Madre Teresa Cortimiglia, si trovano al secondo piano
dell’edificio, è, inoltre, la sede della “Nuova Opera Pia Madonna delle
Grazie”, per dare assistenza alle persone sole del paese. Nel salone principale
dove vivono queste persone che hanno bisogno di assistenza, è stato collocato
un dipinto a olio del Decano Giovanni Scavotto, opera commissionata, alcuni
anni dopo la sua morte dalle suore Teresiane, per l’opera caritativa che lui
svolse nel corso della sua vita nei confronti di questa Istituzione.
il Decano Mons. Giovanni Bacile in una
ricorrenza del Decano Giovanni Scavotto scrisse:
La famiglia
Scavotto meriterebbe un grandioso monumento nel più bel punto di Bisacquino per
il grande bene che in diversi tempi vi ha fatto[52].
Capitolo 2
IL SACERDOTE
2.1 FORMAZIONE
Varcando il portale dell’Istituto di
Scienze Religiose “Don Ignazio Sgarlata” di Monreale, già sede del seminario,
trovandosi di fronte ad un’autorevole ingresso, ci si rende conto
dell’antichità del palazzo.
Quel palazzo ai tempi del Decano Giovanni
Scavotto era stato acquistato dall’Arcidiocesi di Monreale dal nobile Alfredo
Ventosa, per dare ancora più prestigio al seminario di Monreale che era
definito “l’Atene del sud”.
I giovani seminaristi però tra quelle mura
divenivano, inconsapevolmente, depositari del sapere che quella scuola aveva
prodotto nel corso dei secoli e potevano contare su di un colto Arcivescovo,
Mons. Domenico Benedetto Balsamo, responsabile della diocesi dal 23 settembre
del 1816 al 6 aprile del 1844.
Tra i maestri del seminario avevano fama
di sommi il Guardì, il Zerbo, il Bruno, Giuseppe Saitta da Bronte, poi Vescovo
di Patti dal 1832 e Diego Planeta da Sambuca, poi Vescovo di Brindisi dal 1841,
rettore del seminario era Mons. Giuseppe Caruso, scrisse di lui il Millunzi:
Costui
assommò nella sua persona tutto il governo del seminario. Negli istituti si
divide a più persone il lavoro della direzione, perché una generalmente
parlando non è capace di sostenerlo tutto, ma il Caruso era capace[53].
La cultura del Decano Giovanni Scavotto,
si forma in questo contesto, in un periodo in cui la chiesa Cattolica deve
difendersi da attacchi provenienti da forze esterne, che professavano la c.d. Teoria della catastrofe, per
cui il cattolicesimo con l’espropriazione dei beni ecclesiastici prima e con la
caduta del potere temporale del Sommo Pontefice dopo, era per loro ormai al
collasso.
La chiesa Cattolica, però, era
attraversata da una ventata di nuovo da sacerdoti sociali come Giovanni Bosco,
infatti, a proposito su quell’epoca, si evince quanto segue:
I termini
del tema che mi sono proposto di trattare sono tra i più attraenti e tra i più
splendenti di bellezza. Da una parte un Santo che ha riempito di se, del suo
sorriso e delle sue opere educative tutto un secolo e dall’altra parte ciò che
di più bello e di più entusiasmante ci presenta l’umanità di tutti i tempi e di
tutti i luoghi: la gioventù. Quella gioventù che ha in se i caratteri per un
maggior avvicinamento alla fonte creativa della divinità[54].
Per tutto questo Giovanni Scavotto,
osservando il suo tempo, postulava, quello che doveva essere, il suo
apostolato:
Fra queste
ruine s’innalzano magnifici templi ed altari, offrendo senza pericolo al vero
Dio i loro omaggi; le sacre cerimonie acquistano un nuovo splendore: è la
religion di Cristo con in mano la Croce , trofeo delle sue
gloriose vittorie fra gli applausi, i tributi, e le feste si asside sul trono[55].
Giovanni Scavotto fu uno dei pochi
sacerdoti siciliani, che per il periodo storico che stava attraversando la Sicilia , decise di
perfezionare i suoi studi iscrivendosi alla Facoltà Teologica nella Regia
Università degli Studi di Palermo, fondata nel 1805, in via Maqueda, nella casa dei PP.
Teatini della Catena. In quel posto ebbe la possibilità di conoscere alcune
delle persone più importanti dell’epoca, perché oltre a quella Teologica vi
erano lì le facoltà, Legale, Medica, Filosofica e Letteraria[56].
Egli conseguiva la laurea in Teologia il
giorno 9 di aprile del 1842 come si evince da un documento rilasciato dalla
citata Università che ho rinvenuto all’Archivio Diocesano di Monreale[57].
Certifico
io sottoscritto qual Cancelliere della Regia Università degli Studi di Palermo,
che avendo riscontrato i registri ove notansi i graduati nella facoltà
Teologica ho trovato annotato nell’anno 1842
a 9 aprile D. Giovanni Sac.
Scavotto figlio di Filippo di anni 29 del Comune di Bisacquino prov. Di
Palermo. Onde in fede del vero ho rilasciato il presente da me firmato, e
munito dal suggello di questa Regia Università. – Palermo li 9 aprile 1842[58].
Il Decano Giovanni Scavotto parlava e
scriveva correttamente il latino, come si evince dai suoi scritti, dove spesso
è usata questa terminologia, fu inoltre, studioso del diritto canonico, si
evince dal fatto che nel 1880, chiese al Comune di Bisacquino l’applicazione
del diritto ecclesiastico per la giurisdizione del Cimitero.
Dal punto di vista prettamente spirituale
dai suoi discorsi si desume un’elevata formazione intellettuale, era un buon
oratore come si può notare in alcuni passi di una delle sue omelie su San
Nicolò da Mira:
Il quarto
secolo di nostra redenzione avea già cominciato il suo corso, la Chiesa di
Cristo non si godea ancor quiete e pace che l’idolatria e l’eresia, queste
formidabili nemiche, congiurate a suo danno, le facean continuamente guerra.
Essa sentiva lacerarsi le viscere e con sommo dolore vedeva scorrere a vivi il
sangue innocente dei cari figli che per lei intrepidi affrontavan la morte […].
Il sistema educativo del sacerdote
Giovanni Scavotto era il sistema preventivo che gli era offerto dalla
tradizione. Le sue idee educative però più che da un sistema, discendevano
dalla carità e il successo, la sua opera lo trovava in quelle norme spirituali
e religiose che regolavano la sua vita, imperniate nell’ordine e nel rispetto
della disciplina gerarchica[59], pietra angolare anche dei suoi successori nella carica
di Decano, come si può evincere da un passo di uno scritto del Decano Giovanni
Bacile:
Che cosa è
Dio? L’Aleardi fa questa domanda a le stelle e si sente rispondere che Dio è
ordine, interroga i fiori e quelli gli dicono che Dio è bellezza, lo vuol
sapere da la pupilla dell’innocente e questa gli risponde: amore. Esatte le tre
diverse risposte, perché la meravigliosa disposizione de le stelle, la luce che
regolarmente ci tramandano, non ostante la loro immensa distanza da noi, il
loro movimento senza mai urtarsi, non ostante la loro smisurata grandezza sono
ordine magnifico e siccome nessuno può dare quello che non possiede Dio che ha
creato le stelle in tanto ordine, deve essere ordine infinito.
2.2 LA GIUSTIZIA DI DIO
Al fine di approfondire il pensiero del
Decano Giovanni Scavotto, mi piace fare riferimento ad una sua omelia dal
titolo “La Giustizia
di Dio”, riporto alcune sue riflessioni[60]:
E’ Cristo
che parla per togliere a noi ogni vana lusinga di poterci salvare con una
giustizia simile a quella degli Scribi e dei Farisei. Poiché questi malamente
interpretando il senso delle divine Scritture eran di avviso poter conseguire
l’eterna beatitudine promessa da Dio ed amarlo colla sola osservanza dei riti
prescritti dalla legge Mosaica nei sacrifici, senza l’obbligo di umiliare
innanzi l’Ente Supremo la loro mente, senza sacrificar il loro cuore, in guisa
che servivano Dio, pregavano Dio nell’ipocrisia, che si limitava ad una
osservanza esterna, come se Dio, che tutto vede, non fosse lo scrutatore dei
cuori.
Per quanto sopra il Padre Decano ammonisce
la gente del suo tempo, infatti dice:
Ma oggi il
Divin Maestro alzando la sua voce in mezzo a noi ci insegna, che una tal
giustizia esterna e di ipocrisia non basta ad acquistare l’eterna beatitudine;
poiché essendo Dio il creatore ed il redentore dell’uomo, composto di corpo e
di anima essendo questa assai più nobile del corpo terreno e corruttibile,
perché creata ad immagine e somiglianza di Dio, che è spirito est, ci comanda
di amarlo e servirlo non solo col corpo, ma pure e principalmente colla nostra
anima cioè colla nostra mente e col nostro cuore. Poiché Dio essendo conoscenza
ed amore sostanzialmente. L’anima nostra essendo stata creata da Dio a sua
immagine e somiglianza, Dio non potea dispensarla dal conoscere ed amare il suo
Creatore. Invano dunque l’uomo si lusinga, come gli Scribi ed i Farisei di
comunicare nella via della eterna salute colla sola esteriore osservanza della
divina legge che è come il corpo senza anima. Che giova dunque, o fratelli, il
culto che voi prestate a Dio entrando nella Chiesa, recitando preci colla sola
bocca, stando genuflessi innanzi il Divin Sacramento, il percorrervi il petto
senza dolore e senza proponimento mentre la vostra mente è rivolta alle vanità
del mondo, mentre il vostro spirito non s’innalza a Dio; che giova l’esistere
all’incruento sacrificio della messa senza sacrificare le vostre passioni? Oh!
Allora la vostra giustizia essendo uguale a quella degli Scribi e dei
Farisei, non entrerete nel regno dei Cieli.
Infine, il Decano Giovanni Scavotto, da
una spiegazione sul senso della vita con le parole che seguono:
La legge di
Cristo è legge di carità non solo verso Dio ma pure verso il prossimo. Si noi
dobbiamo amar noi stessi con vero amore, e l’anima nostra essendo la parte
principale di noi perché creata ad immagine di Dio e capace di una eterna pena
o di una eterna felicità, noi dobbiamo più del corpo corruttibile amar l’anima
nostra meritandole con i nostri pensieri, con i nostri affetti, e colle nostre
azioni la eterna beatitudine; Dio adunque imponendoci il precetto di
amare il prossimo come noi stessi, ci comanda di amarlo con quella carità che è
viva nel procacciargli non solo il sostentamento della vita naturale per
continuare a servire Dio, ma molto più la vita spirituale dell’anima colle
nostre preghiere innalzate a Dio, coi nostri insegnamenti e specialmente col
nostro buono esempio, affinchè il nostro prossimo agitato da noi possa
camminare nella via dell’eterna beatitudine. Non basta adunque alla nostra
giustizia l’astenerci dai furti e dagli omicidi mentre in cuore si conserva
l’odio verso il nostro prossimo, non basta non violar la donna altrui mentre
nel cuore ferve la concupiscenza da Dio proibita, non basta non dar la morte al
corpo del nostro fratello mentre se ne uccide l’anima cogli scandali. Amiamo
dunque Dio non colla sola esteriore osservanza della sua divina legge ma con
tutta la nostra mente e con tutto il nostro cuore. Amiamo il nostro prossimo
con quello stesso spirito di carità col quale dobbiamo amare noi stessi; questi
due amori vanno talmente tra lor congiunti che l’uno non sussiste senza
dell’altro. Noi non possiamo davvero amare Dio, senza amar il nostro prossimo,
ne amar il nostro prossimo senza amare Dio: in una parola, dobbiamo amar Dio
colla mente e con tutto il cuore, nel nostro prossimo creato ad immagine di Dio
e redento dal sangue di Cristo, e dobbiamo amare il nostro prossimo in Dio e
per Dio; ed allora noi acquisteremo quella giustizia, che ci rende degni
dell’eterna beatitudine.
2.3 LA DEVOZIONE A SAN NICOLA
Fu forse per sua scelta, avallata
dall’Arcivescovo di Monreale Mons. Domenico Benedetto Balsamo e dal Decano
Domenico Mancuso che per molto tempo fu cappellano della chiesa di San Nicolò a
Bisacquino. Le funzioni religiose principali in questa chiesa si svolgevano il
6 dicembre per la festa di San Nicolò e nel mese di gennaio con l’esposizione
del SS. Sacramento per le “quarant’ore circolari.
Questa chiesa, inoltre, in conseguenza del
fatto che vi era annessa la badia, era una delle principali di Bisacquino come
si evince da un atto del 1864 scritto di proprio pugno da lui:
Io
sottoscritto dichiaro che non potendo in questo volgente anno soddisfare i
legati di Messe significatemi alla tabella della Collegiata provvisoriamente ne
ho commessa la celebrazione ai tre sacerdoti, cioè al Can.co Filippone n. 30,
al Sac.te Nicolosi n. 37 ed al Sac.te Raia n. 38. Costui però di detta cifra
dovrà celebrarne n. 30 nella chiesa dello Spedale nei giorni di domenica.
Inoltre dichiaro che la celebrazione della Messa di Cappella legate nella
Ven.le chiesa di questo Monastero di S. Nicolò è stata pure provvisoriamente
commessa da ora al Sac.te Nicolò Saladino. In Bisacquino lì 28 marzo 1864[61].
Nel 1866
a seguito della legge di
espropriazione dei beni ecclesiastici questa chiesa con l’annessa badia
passavano al Comune.
Cosi Egli scriveva, parlando del difficile
momento che attraversava la chiesa Cattolica:
Ed alcuni
entrando nel chiostro dove la vita diventa immortale a giudicare della pace che
regna nella casa del Signore, come anche ogni crescente quivi si da
all’acquisto di ogni virtù e non risparmia né sofferenze ne sacrifici affinché
raggiunga l’astrale metà[…]. Vengano qui i denigratori del recinto claustrale
ne contemplino la vita ne meditino le regole e vediamo se neghino che i
chiostri sono ospizio di virtù[62]!
Inoltre paragonava il periodo storico, in
cui le chiese venivano saccheggiate da mani sacrileghe a quello delle
persecuzioni dei Cristiani, infatti scriveva:
Ma quivi le
avversità della Chiesa di Cristo non ebber fine, Iddio che dal male stesso trae
il bene, non permise, che gli imperatori ne evitassero la rovina. Devo io o
Signori, qui richiamare la triste memoria di quei tempi di fierezza e di
empietà pei principi, per sudditi cristiani di lutto e di pianto, allorquando
Massimiano e Diocleziano mossi dallo spirito maligno si provaron di bandi dalla
Licia di cristiana religione a darne il luogo alla idolatria? Da quali flutti e
venti impetuosi si vide allora la navicella di Pietro agitata? Quali e quanti
lupi rapaci si gittaron di forza contro la greggia di Cristo a farne crudele
strazio? Le orride prigioni, le gravi catene, i fieri tormenti, la cruda morte
eran la pena di Colui che non piegava il ginocchio, o la fronte non chinava
dinanzi il segno di nostra salute, i figli di Dio eran costretti a non vedere
né l’Altare né il Santuario, di questi tribunali di misericordia, che
giustificano coloro, che si accingano: era luogo che Gesù Cristo medesimo oh!
Il giorno 9 di luglio del 1879, il Decano
Giovanni Scavotto, dal ricavo del fitto delle sedie della parrocchia e dalle £.
100 assegnate dal Comune acquistava per la chiesa Madre di Bisacquino gli
arredi sacri della chiesa di San Nicolò: un baldacchino, un ombrello di seta,
delle tovaglie di filo ricamate, amitti di filo, un calice d’argento dorato, un
ostensorio d’argento dorato del 1696[63], corporali, purificatoi, stole, un velo di esposizione
bianco ricamato in oro, due sopra calici, una cappa rossa con frange di
argento, camici, piviali, mozzette, due sedie vescovili, un organo, un pulpito
di legno, oggi nella chiesa del Carmine, due statue ed altri arredi[64].
Capitolo 3
IL PASTORE
3.1 NOMINA
Egli era nominato Decano Arciprete e
Vicario Foraneo di Bisacquino dall’Arcivescovo Mons. Papardi, in data 19
settembre 1876, era il primo Decano non di nomina regia ma pontificia per
l’abolizione dei Legati.
Per approfondire la figura del Decano a
Bisacquino, il prof. Nicola Filippone, ne tratteggia le caratteristiche:
La figura del Decano a
Bisacquino è qualcosa di più di un semplice parroco, nella tradizione popolare
egli è visto come la più alta autorità del paese[65].
Nel particolare il prof. Totò Contorno
evidenzia quanto segue:
Essere
Decano di Bisacquino non è facile. Si può dire che il Decano, del resto non è
che un parroco come quello di tante altre parrocchie, ma non credo sia così.
Bisacquino ha una tradizione splendida di Decani e la gente stessa dice che u
decanu è un capu di paisi e da queste premesse discende una grande responsabilità[66].
L’Arcivescovo di Monreale Mons. Papardi,
non si sa il motivo nei suoi confronti, volle che l’investitura avvenisse per
la festa principale del paese.
Così il 3 maggio del 1877 si celebrò nella
Chiesa Madre di Bisacquino la cerimonia di nomina, come si evince da una
lettera di ringraziamento scritta dal Decano Giovanni Scavotto all’Arcivescovo
Mons. Papardi[67].
Così tratteggia il Decano Don Calogero Di
Vincenti la mattina del tre maggio a Bisacquino:
La
primavera era sbocciata appena da un giorno e l’inverno pareva che volesse
ritornare, poi passo il suo dominio, quando dopo una mattinata piovigginosa e
piena di freddo, il sole ebbe il suo momento di trionfo, sbaragliò le
nubi e illuminò con la sua luce e il suo tepore delicato ma costante la piazza
e le viuzze del dolce paese, attaccato alla sua montagna, che viveva uno dei
suoi giorni, di gran festa e di grande attesa.
Poi
suonarono a distesa le campane, tutte le campane di tutti i campanili e chi
partì lascio la sua casa. E le strade si animarono, quasi d’improvviso e tutti,
avevan il vestito della festa e gli occhi di tutti, splendean di gioia e il
senso di un’attesa amorosa dava armonia.
Il tre maggio, rappresentava per i
Bisacquinesi, il giorno dell’inizio delle belle giornate, per cui quel giorno
si cominciavano a indossare gli abiti estivi, per questo i sarti e i calzolai
del luogo si apprestavano a consegnare vestiti e scarpe.
Era un giorno di festa, e i bimbi
cominciavano a scendere nelle strade, così, come abitudine tramandata dal
tempo, quel giorno a tutti i parenti che incontravano, dicevano “benedica parrino” e ricevevano dei doni in cambio, anche
i poveri quel giorno ricevevano dei regali.
La banda musicale per le strade del paese
con le sue musiche dava inizio a questa festa paesana
Il tre maggio del 1877, quindi, alla messa
capitolare il Can. D. Bacile dopo il giuramento investiva il Can. Giovanni
Scavotto con la cappa magna, la stola, un berretto e un anello[68],
consegnandogli in ultimo il bacolo, un bastone d’argento, segno del potere
sulla città; da quel momento il
sacerdote Giovanni Scavotto era il “padre Decano” ed egli si affidava alla
Madonna del Balzo.
Ecco il racconto dell’evento tratto da un
discorso dal titolo il Pastore alle sue pecorelle:
Quando
parlò l’eletto allora fu un lampeggiare di occhi. A molti le lacrime
purificarono il viso. Tutti pensavano alla mamma che non c’era e alla missione
che avvolgeva la sua vita. Parlò con entusiasmo e con un cuore come un padre,
un fratello, un figlio che torni alla sua casa da lontano e ha molto da dire.
Disse di esser di tutti e con tutti di esser di Dio. Disse di esser padre e
fratello, medico e pastore, lume e bastone e che un grande amore aveva per
parlare ai cuori di chi soffre[69].
Parteciparono a questa funzione molte
persone come riporta lo stesso Decano Giovanni Scavotto:
Grande fu
la gioia di tutto un popolo in un col Clero e il Ceto Civile; la Chiesa , la piazza e le strade vicine si boccavano
di popolo paesano e straniero venuto a solennizzare il giorno sacro
all’inverosimile della S. Croce; immensa era la gioia non per la promozione
della mia umile persona ma per l’esecuzione della volontà della gerarchia
ecclesiastica[70].
Di seguito partì la processione del
Crocifisso, che rappresentava la festa che i Santi fanno a Gesù Crocifisso
risorto che entra in Paradiso; i campanili di tutto il paese suonavano a festa
intanto che le statue di Santi provenienti dalle Chiese del paese arrivavano in
piazza. Nella piazza era il Decano, che dava il via alla processione.
Il Decano Don Calogero Di Vincenti così
descrive l’evento:
Quando il
sole, per aver vinto l’inverno e per aver dato gioia a un paese, toccava quasi
la cima della grande montagna e con un digradare a grandi tinte di rosso
porpora, mostrava tra l’azzurro il suo trionfo, arrivò l’eletto. Fu un
sussultare di cuori tra la folla, tutti volean vederlo, toccarlo quasi fosse il
Messia, parlare con lui e mentre il suono di una musica cercava di elevarsi
nella folla, un batter di mani davan la nota che la grazia riempiva i cuori.
Passò
del tempo punteggiato dal sole prima che dalle parti del paese poté
raggiungersi la primavera, e lungo la via le madri indicavan ai piccoli
l’eletto e ognuno nel suo cuore, invidiava la madre, che dall’alto dei cieli,
vedeva il trionfo del figlio e ognuno allora elevava una preghiera al Signore,
affinché volesse chiamare uno dei suoi figli a essere eletto.
Fu il
trionfo della fede quel giorno. Ogni madre vedeva nell’eletto il figlio, ogni
vecchio l’appoggio per la sua vecchiaia, ogni uomo maturo il senso della
paternità e della legge, i giovani la luce della loro giovinezza, i fanciulli
l’uomo della sua felicità.
Poi il segno del segno del divino scese su
chi ascoltava. Le campane avvolsero tutto nella loro armonia e per quel giorno
trionfò la gioia dei figli di Dio.
3.2 PARROCO
Riporta il Decano Giovanni Bacile[71], che resse
in seguito la parrocchia San. Giovanni Battista di Bisacquino, un famoso brano
del Lamartine:[72]
Chi è il
Sacerdote? E’ colui che tutti chiamano col nome dolcissimo di Padre e Padre
deve essere davvero, se non vuole venir meno a la sua missione; […] padre con
tutti: con i ricchi e specialmente con i poveri, padre con i buoni per farli
divenire migliori, con i peccatori che deve accogliere con i modi più dolci per
portarli al Padre che sta nei cieli […].
Chi è
il sacerdote? E’ il medico istituito da Gesù perché come Lui guarisca tutte le
malattie spirituali, è il pastore che come Lui deve andare in cerca delle
pecorelle smarrite per dar loro la pace, è Cristo medesimo […].
In ciascun
paese è un uomo che non ha famiglia, ma appartiene a la famiglia di tutti; un
uomo che si invoca come testimonio, come consigliere o come cooperatore in
tutti i momenti più solenni della vita; senza del quale né si nasce né si
muore, che prende l’uomo a la culla e non lo lascia che alla tomba; un uomo che
i fanciulli imparano ad amare, a venerare a seguire; che anche i forestieri
chiamano padre; ai piedi del quale vanno i cristiani a deporre i segreti più
intimi, le lacrime più ignorate; un uomo che per ufficio è il consolatore di
tutte le miserie dell’anima e del corpo, l’intermediario della ricchezza e
della miseria, che vede il ricco ed il povero bussare volta a volta alla sua
porta […]; un uomo infine che sa tutto, che ha diritto di dir tutto e la parola
del quale cade dall’alto sull’intelligenza e sui cuori, con l’autorità di una
missione divina: quest’uomo è il Parroco.
Nelle pubbliche vie il Decano Giovanni
Scavotto era salutato con la frase “benedica padre Decano” e ogni ceto di
persone rispettosamente lo riveriva, Egli rispondeva con la frase “Dio ti
benedica”. Il suo aforisma era: Proteggerò
questa città dai suoi nemici; - in quel tempo Bisacquino contava quasi
diecimila abitanti: il novanta per cento della popolazione era composto da
analfabeti, i poveri erano molti dopo la legge sull’espropriazione dei beni
ecclesiastici, era molto diffuso il vagabondaggio, di tanto in tanto si
susseguivano episodi di colera.
Per lui educare voleva dire tirare fuori
da un uomo la sua personalità, voleva dire sprigionarlo dal vago e
dall’indifferente e farlo aderire a ciò che per natura gli era conveniente e
che di conseguenza rientrava in quella che è la legge eterna di Dio e che mira
a fare di un uomo un essere intelligente che spontaneamente e intelligentemente
aderisce a un ordine morale, sociale e intellettivo in armonia con tutto il
creato[73].
Nella Chiesa locale la situazione non era
eccellente: gli amministratori comunali e i nobili volevano depredare quanto
ancora non venduto dei beni appartenuti agli enti ecclesiastici soppressi; una
legge emanata in quell’anno limitava, l’attività dei parroci; una gestione
economica dei beni della parrocchia senza alcun controllo; una sede vacante dal
14 aprile 1873, data di decesso in età avanzata del Decano Giardina Francesco,
è gestita da un economo, il Can. Stanislao Mancuso,[74] che
non aveva l’autorità di un arciprete.
Egli affrontava questo incarico da uomo
aristocratico, dotto, caritatevole, autoritario ed energico,[75] inquadrando
nella sua persona la chiesa locale, rivalutando la figura dell’arciprete quale
capo del paese[76].
3.3 DISPOSIZIONI
In data 5 maggio 1877 il Decano Giovanni
Scavotto scrisse all’Arcivscovo Mons. Papardi, quanto segue:
Nella
settimana entrante mi sarà fatta la consegna delli sacri indumenti ed arredi,
ma molti mi dispiace non esistere alcun analitico elenco degli oggetti quattro
anni or sono consegnati a Mancuso[77].
L’Arcipretura San Giovanni Battista
comprendeva nel suo territorio, sedici chiese, un ospizio, un orfanatrofio e un
ospedale gestito con l’ausilio della congregazione della Carità.
Per quanto riguarda la gestione dei beni
economici della parrocchia, furono prescritte dal Capitolo da lui presieduto le
sotto elencate regole ai rettori delle sedici chiese:
I sacri
arredi si conservino nella Sacristia delle Chiese a cui appartengono in
appositi armadi e giammai nelle case particolari. Che se per circostanze
speciali non si crederà conveniente conservarle nelle rispettive Chiese, si
conservino allora nella Chiesa Madre in apposito locale a ciò destinato sotto
la sorveglianza dell’Arciprete Decano che destinerà alla loro custodia un
Ecclesiastico di fiducia.
Tutti i
titoli e le scritture riguardanti le Chiese e i loro legati come le autentiche
delle Reliquie devono conservarsi nelle rispettive Sacrestie in un armadio a
ciò destinato sotto la responsabilità del Cappellano; né devono uscirsi senza
una ricevuta in iscritto della parte prendente, e giammai nelle case
particolari; mentre una triste esperienza ci ha dimostrato che la trascuranza
di questa legge è stata la causa principale della perdita della maggior parte
dei legati e delle rendite delle Chiese.
Fu disposto che tutte le spese e gli
introiti dovevano essere documentati e trasmesse alla chiesa Madre, qui, con
l’avallo di una Deputazione di sacerdoti si procedeva a inventari che erano
copiati in esatti registri e archiviati nella sacrestia della chiesa Madre.[78].
3.4 ATTIVITA’ PASTORALI
I sacerdoti che espletavano la loro
attività pastorale all’interno della parrocchia erano più di trenta, per cui il
Decano Scavotto poté scegliersi validi collaboratori.
Nel suo incarico di pastore, in molti
casi, Egli usava diplomazia, ma successe pure, che per determinati fatti entrò
in conflitto con i cattivi del tempo[79], facendo valere la sua aristocrazia.
Il Decano Giovanni Scavotto e il fratello
sacerdote Giuseppe furono battezzati il 6 gennaio, in anni diversi, che è la
festa dell’Epifania. Questo forse fu un segno del destino, infatti, quel giorno
si svolge a Bisacquino la “vestizione del bambino povero”. La Congregazione del
SS. Sacramento che cura questa festa, sceglie tra gli abitanti, quello che può
essere il bambino più povero del paese, che identifica con Gesù Bambino.
Durante la celebrazione della Messa, a questo bambino, sono donati degli abiti
nuovi e il ricavo di una raccolta fatta nel paese; al bambino, è lasciato nudo
un solo piede, che il Decano, in rappresentanza della città, bacia come se fosse
Gesù Bambino. Al termine della messa questo bambino distribuisce, nel sagrato
della chiesa Madre, in segno di riconoscenza delle noccioline.
Il Decano Giovanni Scavotto, nelle
pubbliche vie era fermato dai poveri, i quali sapevano che avrebbero ricevuto
l’elemosina, inoltre, istituiva delle rendite per permettere anche ai ceti più
deboli di realizzare la loro vocazione religiosa, un caso è quello di
un’orfanella che pronunciò i voti, Suor Maria Giovanna Rotolo, che volle
chiamarsi Giovanna in attestazione di gratitudine al suo benefattore[80].
Egli aveva particolare attenzione per i
bimbi del locale orfanotrofio[81] comprandogli
dei regali e insegnando loro a confidare in San Nicolò. Forse si devono a lui
le tradizioni che ancora permangono a Bisacquino dei doni che porta ai bimbi
San Nicola e della reverenza verso le coccinelle che a Bisacquino sono chiamate
San Nicola.
Questi bambini del locale orfanotrofio,
che erano tanti, non avevano di che vivere, perché erano tempi poveri, il
Decano Scavotto, li faceva partecipare in processione ai funerali delle
famiglie benestanti, i maschi erano vestiti con divise celesti, le femmine con
divise rosa, eseguivano dei canti religiosi, così perché, quel giorno
ricevevano delle elemosine. Inoltre, faceva partecipare questi orfanelli,
vestiti allo stesso modo, alla processione del Corpus Domini, dove a turno essi
portavano un cesto pieno di petali di rose.
A tal riguardo, ci piace, questo
riferimento su quanto scrive il Decano Don Calogero Di Vincenti su San Giovanni
Bosco, che possiamo dire anche per il Decano Giovanni Scavotto:
Ma ciò che
determinò la sua vocazione fu la visita alla piccola casa della Provvidenza.
Venne guidato nella visita dal Santo Fondatore Don Giuseppe Cottolengo. Alla
vista di tanti giovani ammalati si contristò ancora una volta e forse pianse.
Quando il Cottolengo stava per concedarlo, stringendo tra le sue dita le
maniche della veste di Don Bosco, con voce ispirata gli disse: “Ma voi avete
una veste di panno troppo sottile e leggera, procuratevene una che sia molto
più forte e molto più consistente, perché i giovanetti possano attaccarvisi
senza stracciarla. Verrà un giorno in cui vi sarà strappata da molta gente”[…].
Frutto della sua opera furono e sono i numerosi collegi – convitti che aprì e
le scuole professionali a cui diede vita per dare i nuovi operai alle officine
che ormai sempre più numerose andavano sorgendo […]. Oggi noi guardiamo
all’opera di Don Bosco con un occhio di serenità e di compiacenza e a noi pare
di vedere il santo sacerdote quando alla fine del gennaio 1888 nella sua
stanza, vedendo vicinissima la morte, assiste alla sfilata dei suoi ragazzi
innanzi al suo letto. I suoi occhi quasi spenti s’illuminano ancora del sorriso
della gioventù.
Il Decano Giovanni Scavotto, sulle orme di
San Giovanni Bosco, introduceva la catechesi per i ragazzi, fatto insolito in
una realtà, dove l’analfabetismo colpiva quasi il novanta per cento della
popolazione. Nei giorni di domenica e festivi, la mattina c’era per i ragazzi
la spiega del Vangelo e nel pomeriggio l’istruzione catechistica, inoltre
veniva anche inserita nell’ora del giorno in cui Egli giudicava potersi avere
maggiore frequenza di ragazzi l’insegnamento della dottrina cristiana. In
questo ministero, oltre che dei cappellani e dei coadiutori egli si serviva
della collaborazione di altri sacerdoti più giovani, da laici probi e donne pie
di matura età e di parimenti virtù. L’insegnamento dei fanciulli era sempre
separato da quello delle fanciulle[82].
Il sacerdote Giuseppe D’Armata il 10
dicembre del 1889 così scriveva all’Arcivescovo Mons. Gaspare Lancia di Brolo:
Sebbene con
molto ritardo per ragione di salute adempio al dovere di presentare col dovuto
rispetto all’Eccellenza Vostra Rev.ma i miei più sentiti ringraziamenti per
essersi benignata, contro ogni mio merito, nominarmi Cappellano Sacramentale di
questa Parrocchia. Il mio Rev.mo Parroco Don Giovanni Scavotto per ben tre
volte in occasione di altre vacanze mi invitò ad accettare tale officio. Io
però sempre mi negai, perché stimavo non poter corrispondere ai doveri annessi
al medesimo; e ciò avuto riguardo al male cardiaco che soffro; malattia per la
quale fui esentato dal servizio militare. Ora agli inviti del Parroco aggiunti
i comandi dell’Eccellenza Vostra, credo mio dovere uniformarmi alla volontà di
Dio di obbedire ciecamente. Mi metto quindi alla prova, speranzoso che il
Signore, premiando il mio buon volere mi dia quella salute e tutti quegli aiuti[83].
Nel 1889 il Decano Giovanni Scavotto
scriveva all’Arcivescovo Mons. Lancia di Brolo che a Bisacquino per far
quadrare i conti era costretto a diminuire le prebende ai canonici, portando
come motivazione che a causa della povertà molte persone cominciavano a
emigrare, mentre in paese per la mancanza di forza lavoro, la popolazione
versava in gravi difficoltà economiche[84]. St trattava di un problema
evidente in tutta la Chiesa
siciliana, ecco perché, nel 1893, il Papa Leone XIII, con bolla pontificia,
lasciava le prebende ai canonici, nei vari Capitoli, ma né limitava il numero e
la partecipazione alle funzioni religiose.
Un’altra questione che si trovo ad
affrontare per dirimere una controversia tra alcuni canonici fu quella per il
posto che essi dovevano occupare nel Coro della chiesa Madre. Il 12 gennaio del
1891 ecco quando prescriveva l’Arcivescovo di Monreale:
Rev. Sig.
Decano, Nel rimettere a V.S., per l’uso conveniente, le accluse lettere
d’istituzione a Canonici Onorari di codesta Insigne Collegiata in persona dei
sacerdoti in margine designati, occorre significarle essere Nostra intenzione
che tanto ai detti Canonici da noi eletti quanto ai due che saranno nominati a
noi presentati da codesto Ill.mo Capitolo sia designato lo stallo in Coro a
ordine di antichità di ordinazione e non già della presa di possesso. Tanto
vorrà compiacersi comunicare agli interessati.[85].
Il Decano Giovanni Scavotto desiderava che
la Chiesa
locale avesse un’azione sociale più incisiva, per questo favoriva la nascita di
alcune confraternite[86] e ravvivava le processioni; le più
rilevanti erano la processione del “Precetto di Gala”[87] che
si svolgeva una settimana dopo Pasqua, quando il Decano era trasportato sulla “portantina”[88] dai congregati
del SS. Sacramento per portare il Viatico ai malati[89]; la processione del “Venerdì Santo
abbellita con un “Urna” opera di artisti locali realizzata nel periodo del suo
decanato, organizzata dalla Congregazione del S. Calvario”; la processione del
“Corpus Domini organizzata dalla Congregazione del SS. Sacramento e la processione
del “Tre Maggio”, la più
importante, dove partecipavano tutte le congregazioni con i loro
stendardi e circa trenta statue di Santi facevano da corona a Cristo
Crocifisso, custodito in una grande “Vara”:
era in quest’ultima processione che il Decano indossava la cappa magna e
stringeva a se il bacolo.
All’archivio diocesano di Monreale ho
trovato il documento che segue, datato 19 aprile 1883, che fa riferimento alla
benedizione di una cappella al Calvario:
Io Decano
Arciprete e Vicario Foraneo di Bisacquino affine di dare esecuzione al mandato
affidatomi dall’Ecc.za S. Rev.ma Mons. Giuseppe Maria Papardi per lettera del
27 marzo 1883 sono ito a visitare questa cappella eretta dalla Congregazione
del SS. Crocifisso[90] nel luogo così detto il Calvario,
avendola veduta decente a potervisi celebrare la S. Messa in conformità all’esposto nella
supplica, umiliata dall’anzi Detta Congregazione al prelodato Arcivescovo, l’ho
benedetta secondo il rito della Santa Romana Chiesa. In fede di che ho scritto il
presente verbale e munito di mia firma non che del suggello di questa Curia
For.a. Dato in Bisacquino addì 19 aprile 1883[91].
Un fatto storico, di cui ancora oggi se ne
ha memoria, avvenne mentre era Arciprete Decano – di Bisacquino Giovanni
Scavotto ed è il seguente. Nei primi giorni di febbraio del 1889, intorno alle
ore 16,00, in un attimo, il cielo diveniva più scuro e dei fulmini accompagnati
dal suono dei tuoni, scuotevano il paese, poi, cominciava a piovere. Dopo
un’ora circa, la pioggia che cadeva violentemente sulle strade e i fabbricati
assumeva tutte le caratteristiche di un vero e proprio nubifragio. Il paese per
la posizione in cui si trovava, alle pendenze di una montagna, cominciava ad
avvertire i segni della calamità. I contadini, cercavano in tutti i modi di
rinforzare le aperture delle stalle dove custodivano gli animali, gli
artigiani, le botteghe con gli attrezzi, in casa ci si adoperava a rinforzare
porte e portoni. Pioveva a dirotto. Nelle vicinanze della piazza l’acqua
raggiungeva circa due metri d’altezza. La lavina in molte strade aveva
assunto dimensioni mai viste prima, era un fiume in piena che si perdeva
nell’intero abitato. Nel cielo imperversavano i lampi e i tuoni. Nella piazza,
il ponte, non riusciva a contenere l’acqua abbondante del vallone che perveniva
dalla Via Acquanova, allagando la Chiesa Madre fin quasi alla sacrestia e le case
circostanti. L’acqua abbatteva anche un tratto del recinto presso il campanile
e diversi muri della senseria, della conceria e della pescheria. Un
enorme volume d’acqua invadeva il fondaco, sfondava un muro e allagava la Chiesa della Grazia, anche la Chiesa di Santa Caterina
era invasa dalle acque. In alcune case, l’urto della lavina era così dirompente
che spalancava le porte e trascinava la mobilia e tutti gli altri suppellettili
che incontrava. Dopo alcune ore il paese aveva ormai un altro volto, con i muri
tinti di fanghiglia sino a quasi un metro e mezzo di altezza. La lavina
cominciata nella parte in alto del paese attraversando varie strade si era
ricongiunta in alcune vie, come all’Acquanova, al Rosario, a San Vito e alla
Villa, per continuare la sua corsa nel fiume Bruca. Le persone si spostavano
negli ultimi piani degli stabili, nelle case ormai i piani terra erano in balia
dei torrenti. Un vento da proporzioni inaudite intanto imperversava nel centro
urbano tra le strade e i cortili. Una persona trascinata dall’acqua moriva.
Passato il diluvio, i dipendenti del
Comune si apprestavano a riaccendere i lumi dei fanali, Giovanni Scavotto
scendeva in piazza e tra quei fari accesi nella notte, i Bisacquinesi si
stringevano attorno al suo Decano.
3.5 IL CULTO PER LA MADONNA
Il Decano Giovanni Scavotto quando pregava
si rivolgeva alla “Madunnuzza”, la Sacra Immagine del Balzo[92] venerata
dai Bisacquinesi e dalle popolazioni dei paesi vicini sul monte Triona. Dal
primo al quindici di agosto del 1837 fu il predicatore delle celebrazioni in
onore della Madonna del Balzo.
La festa
della Madonna del Balzo, che coincide con la solennità dell’Assunzione, è
preparata da una Quindicina predicata. Tutte le mattine prima dell’alba, i
Bisacquinesi sciamano dal paese verso il Santuario e riempiono la Chiesa. La sera è un altro affascinante
spettacolo: in ogni via, o almeno in ogni quartiere, s’innalzano degli altari
della Madonna, illuminati da molte candele, e intorno ad essi siedono donne e
vecchi, fanciulle e bambini, i quali recitano il Rosario, cantano graziose
laudi alla dolce Patrona[93].
Egli restava sempre legato alla figura
della Madonna del Balzo per questo, durante il periodo del suo incarico
di arciprete, si realizzava all’ingresso di Bisacquino una Cappella che
prendeva il nome di “Madunnuzza”, Corrado Fanari dipingeva su lastra di pietra
l’immagine della Madonna del Balzo.
Sulla devozione popolare nel corso dei
secoli alla Madonna del Balzo, il Decano Don Lino Di Vincenti, così ne parla:
Ha fatto
rivivere non solo l’avvenimento straordinario dell’apparizione della Vergine
SS., ma tutta la storia di amore della Madre Amorosa nei confronti dei suoi
figli e la devozione filiale alla Madonna del popolo bisacquinese, che non è
venuta mai meno, ma si è sempre accresciuta con il passare degli anni e dei
secoli.[94].
Il Decano Giovanni Bacile, così si esprime
sugli emigrati bisacquinesi, così legati al culto della Madonna del Balzo:
Prima di
partire salirono sul Triona per salutare la Celeste Madre , per
dirLe che lontano lontano non l’avrebbero mai dimenticata […]. Nel nuovo mondo
fecero conoscere la loro Madonnina, ne parlarono spesso con le lacrime agli
occhi, molte cose avranno potuto dimenticare, mai la Vergine del
Balzo.
In quel periodo si sviluppava anche la
poesia popolare sui miracoli della Madonna del Balzo, come per esempio:
Un
circaturi pia cerca jia; ‘cennu a Rivela s’arriposa un pocu: nta n’aria lu
furmento si cirnia (e chista è le vritati e nun vi jocu): affaccia un luci d’in
mezzo la via, all’aria jiungi ‘na vampa di focu e di lu Vazu chiamannu a Maria
lu focu si nii jiu pi n’atru locu[95].
L’11 febbraio del 1858 Bernadette
Soubirous, discendente da una famiglia povera, nella grotta di Massabielle a un
chilometro da Lourdes si accorge che esce dalla grotta una nube di colore d’oro
e subito dopo una bella Signora vestita di bianco con una fascia azzurra che scende
lungo l’abito, i piedi erano nudi e su di essi brillava su ciascuno una rosa
d’oro, al braccio aveva un rosario dai grani bianchi. In tutto ci saranno
diciotto apparizioni in una scavando per terra Bernadette svelerà una sorgente
d’acqua, in un’altra la Madonna di Lourdes le dirà: “Io non vi prometto di rendervi
felice in questo mondo ma nell’altro”, durante
l’apparizione del 25 marzo, festa dell’Annunciazione, è rivelato a Bernadette
che la bella Signora è l’Immacolata Concezione. Morì il 16 aprile del 1878[96]. Il Decano restò colpito dei
fatti successi a Lourdes. Infatti, apprendendo, la notizia della morte di
Bernadette Soubirous, anche se nel mondo ecclesiastico si manifestavano ancora
dei dubbi, fece commissionare un quadro per la chiesa Madre. Il 30 giugno del
1880 durante la visita pastorale di Mons. Giuseppe Papardi fece benedire questo
quadro, che pose nella Chiesa Madre con questa iscrizione:
L’Eccellentissimo Monsignor Papardi Arcivescovo della Diocesi
di Monreale concede giorni 40 d’indulgenza a chi divotamente reciterà un Ave
Maria a questa Miracolosa Immagine di Lourdes[97].
Bernadette Soubirous sarà Beatificata nel
1925 e Canonizzata nel 1933.
3.6. SEQUENZA
Giovanni Scavotto fu l’ultimo Decano a
essere trasportato con la portantina per il c.d. “Precetto di Gala”.
Il 14 febbraio del 1898 il suo discepolo
Costantino Margiotta era nominato Decano Arciprete di Bisacquino.
Sempre nel 1898 la chiesa di San Nicolò
era ceduta (o venduta) dal Comune di Bisacquino all’allora Sindaco di Bisacquino,
che la trasformava in mulino a cilindri; il Monastero era prima adibito a
caserma di soldati, poi parte a carcere mandamentale e parte a macello. Il
giardino annesso con l’attiguo mulino ad acqua passavano ad una famiglia di
nobili[98].
Il 26 giugno del 1913 quando era economo
il Can. Pasquale Ceravolo[99],
era inaugurato il quadro che si trova in copertina e che è collocato nella
sacrestia della chiesa Madre di Bisacquino.
Il 26 giugno del 1931 per opera del Decano
Mons. Giovanni Bacile, che definiva il Decano Giovanni Scavotto,
Un uomo
caritatevole ed un Reverendissimo Signor Decano che fu veramente un Signore[100],
gli era dedicato un medaglione in marmo
con la sua effige, posto all’interno della chiesa Madre, con la seguente
iscrizione:
Bisacquinesi, più di questo marmo, più della cupola innalzata
in parte coi beni da lui a questa chiesa legati, dicano perenne gratitudine al
Decano Giovanni Scavotto le vostre preghiere per la sua pace eterna.
Il 20 agosto del 1941 morì, mentre ricopriva
la carica di Decano, all’età di 61 anni, Mons. Giovanni Bacile.
Nel 1958 morì Suor Maria Giovanna Rotolo.
Nel 1962, per salvaguardare il suo corpo,
per opera del Decano Don Calogero Di Vincenti, era realizzata una struttura in
muratura.
Il 26 giugno del 1997 grazie al Decano Don
Lino Di Vincenti, nel centenario della morte, la tomba del Decano Giovanni
Scavotto era abbellita con splendidi marmi in granito e vi era posta la foto
del dipinto in copertina.
IL PASTORE
ALLE SUE PECORELLE
Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore
e ne smarrisce una, non lascerà forse le novantanove sui monti, per andare in
cerca di quella perduta? Se gli riesce di trovarla, in verità vi dico, si
rallegrerà per quella, più che per le novantanove che non si erano smarrite[101].
Come San Nicolò, aveva preservato i suoi
beni per consegnarli alla Chiesa locale, nello stesso modo si comportò anche il
padre Decano, questo è il suo testamento spirituale:
Si
Ascoltatori, il nostro grand’Eroe intese di sì ardente zelo accendersi il petto
che nel più fitto della tempesta, in mezzo allo imperversarsi dei venti corre
in aiuto alla navicella divenutone bersaglio; fra il ruggir dei leoni, fra
l’ulular dei lupi si fa intrepido a difender le sue pecorelle[102].
In un altro passo, vediamo la concezione
del sacerdozio:
Ma quanto
per lo continuo brama o nel recinto delle sue mura interveniva in dolci
colloqui col suo Dio; o nei sacri templi alla presenza dell’adorato Sacramento,
in compagnia degli Angioli celebrar divoto con inni e sacri cantici le divine
perfezioni! Ed or venera bando piega le ginocchia e la fronte inchina dinanzi
l’altare ove la memoria si rinnova del gran sacrificio della croce ed indi con
un cuore di ogni terreno affetto spoglio e di candida veste adorno, siede a
sacra mensa e la sua bell’anima del pane angelico riconforta. Ed allorquando
apre il sacro volume e si fa leggere le celesti verità dal dito del Divino
Spirito segnate, spiega si alto della mente il volo, che assorto in una estasi
e poco men’che non dissi in una visione beatifica né le ore che si succedono,
né caldo né gelo, né fame, né sete, ei sente, sta buona posta immobile e senza
mutamento sembra, che abbandonata la grata spoglia sia a stasiarsi cogli Angeli
nel Cielo. Se non che gli strani accendimenti, il celeste lume, che da Dio
riverbera ne annunzian la vita.
Infine, l’uomo Giovanni Scavotto, possiamo
racchiuderlo in questa sua frase:
Quantunque
l’ala del tempo voglia coprire di oblio ogni cosa, e gli uomini che sono stati
nel forte e nell’apparenza, come quelli che in una vita umile ed oscura si sono
esercitati nella palestra delle virtù, pure son di avviso o Signori, che ci
sono individui privilegiati, i quali, senza lasciare eredità di affetti, hanno
la fortuna di eludere un tal fato crudele, perché il mondo teatro di loro
beneficienze ne conserverà memoria imperitura[103].
Rievoco quanto segue, quando termino di
scrivere questa biografia sul padre Decano.
Ricordo, che avevo dieci anni, allora
abitavo nel centro storico di Bisacquino, quella mattina nevicava, attraversai
una parte della Via Savoca, poi scesi i gradini della via Piave e pervenni
nella piazza Triona, poi, andai a trovare mio zio, il Decano Don Calogero Di
Vincenti, che allora viveva nei locali del salone parrocchiale, perché la
canonica era in fase di ristrutturazione. Mio zio, lo trovai in una stanza al
secondo piano, che ammirava di là dai vetri di un balcone la piazza Triona.
Con mio zio, che qualche settimana dopo, a
soli 52 anni, avrebbe lasciato questa vita, commentavamo quel giorno, caduto
dal Cielo, con la neve, quando mi disse questa frase:
E’ sempre bello vedere Bisacquino mentre
nevica.
Nevicava e di fronte a noi si vedeva la Bisacquino di ieri, con
i tetti delle case, i palazzi che un tempo erano stati dei nobili, il
Municipio, la Chiesa
Madre e la piazza Triona che si andavano coprendo di neve.
FOTO CHIESA MADRE DI BISACQUINO AL TEMPO DEL DECANO SCAVOTTO.
INDICE
Presentazione………………………………………………………....pag.
3
Introduzione………………………………………..............................
pag. 5
Capitolo 1 –
L’Uomo…………………...……….................................. pag. 7
1.1 La sua
città………………………………………………………….pag. 7
1.2 La chiesa del suo tempo…………………………………………….pag.
8
1.3 Profilo biografico………………………………
…………………..pag. 9
1.4 La famiglia
Scavotto………………………………………………..pag. 19
Capitolo 2 – Il
Sacerdote………...………………............................... pag. 23
2.1
Formazione……………………………………................................ pag. 23
2.2 La giustizia di
Dio………………………………………................... pag. 26
2.3 La devozione a San
Nicola…………………………......................... pag. 27
Capitolo 3 – Il
Pastore…………………………….............................. pag. 30
3.1 Nomina… ………..……………………………...............................
pag. 30
3.2 Parroco…………
.…………………………….............................. pag. 33
3.3
Disposizioni………………...…………….……................................ pag. 34
3.4 Attività
pastorali……………………………......................... ………pag. 35
3.5 Il culto per la Madonna …………………………..............................
pag. 40
3.6
Sequenza……..............................................................................
….pag. 42
Il pastore alle sue pecorelle …………………
……………………….pag. 44
Il Pastore alle sue pecorelle è tratto dal titolo di un discorso
del Decano Don Calogero Di Vincenti - Archivio Chiesa Madre – Discorsi
d’occasione.
Si ringrazia per la gentile collaborazione prof. Sandra Vaglica
Foto in copertina prof. Mimmo Andretta.
Nella foto del retro della copertina Don
Calogero Di Vincenti, Nino Di Vincenti (mio padre) ed io.
Finito di stampare
presso Tipografia – Rilegatoria –
Litografia
Sandra
Vaglica
Via Venero, 177 – Monreale (PA) –
cell. 349 5005745 – 320 4424217
Settembre 2009
[2] Mons. Saverio FERINA, Bisacquino storia del Sacro, Ila Palma Mazzone Produzione,
Partinico (PA) 2008. Descrizione riguardante il periodo antecedente il 1703,
data in cui fu demolita la prima Chiesa Madre.
[3] Il paese di Contessa Entellina non fa più
parte della Forania di Bisacquino, in quanto è passato sotto la giurisdizione
dell’Eparchia di Piana degli
Albanesi.
[4] Tratto da alcune lezioni di Dottrina
Sociale di Mons. Vincenzo Noto,
all’Istituto diocesano di scienze religiose.
[5] Decano Don
Calogero Di Vincenti.
Archivio Chiesa Madre di Bisacquino. Sez. 3 – Attività, serie 6 Discorsi
d’occasione, fasc. 3.
[6] Scrisse tra l’altro una storia sulla
chiesa siciliana, consultabile nella sacrestia della chiesa Madre di
Bisacquino.
[7] Una biografia su questo Decano di
Bisacquino, ancora non era stata scritta, esistono solo due pagine del Can.
Lucia, utili per questo lavoro, però per alcuni fatti non attendibili per la
composizione della famiglia. Infatti il Lucia riteneva che il Decano Scavotto
avesse un solo fratello Giuseppe il quale svolgeva la professione di medico.
[9] Per quanto riguarda il cognome Dolce non
esiste più a Bisacquino, all’Archivio comunale ho trovato una Dolce Antonina
deceduta il 17/08/1897.
[10] La chiesa Madre ampia e ricca di stucchi è
dedicata a San Giovanni Battista, così la definisce A. G. Marchese: <<E’
stata inclusa dal Boscarino tra le opere di architettura popolare siciliana i
cui “protagonisti sono i mastri di muro, cioè i murifaber e i caput magister che per la capacità che
avevano nell’intaglio lapideo e per l’importanza che nell’immagine della fabbrica
vi si dava, vengono spesso chiamati lapidum
incisores. Costruita nel corso del XVII secolo (le date del 1756 –’57 e
1760 ricorrono nella facciata), la Chiesa Madre di Bisacquino segue l’impianto
basilicale a tre navate con transetto e absidi semicircolari (mentre la cupola
è una addizione del primo ‘900)>>. Cfr. Antonio Giuseppe Marchese,
<<La Chiesa
Madre di
Bisacquino “Uno Scrigno d’Arte>>, Fabio
Orlando editore, 1998, pag. 4
[11] Abitavano tra la piazza è la via delle
Poste, la loro grande casa ora è di proprietà delle famiglie Iannazzo, Agozzino
e Tortorici e degli abitanti del palazzo che si trova in piazza Triona. La
parte ereditata dal Decano Giovanni Scavotto fa parte dell’Orfanatrofio Madonna
delle grazie.
[12] Un appartenente alla sua famiglia Noto Giuseppe
fu Decano di Bisacquino dal 10/01/1796 al
31/03/1805.
[13] Mons. Domenico Benedetto Balsamo
(Arcivescovo di Monreale dal 23 settembre 1816 – al 6 aprile 1844). Studiò nel
seminario di Monreale, fu una delle figure più importanti del periodo tra
l’altro fu Preside della Regia Università. Di carattere pio si distinse per la
scelta di sacerdoti illustri come insegnanti del Seminario, alcuni provenienti
da Regioni del nord Italia.
[14] Tratto da un discorso del Decano Don
Calogero Di Vincenti su San Giovanni Bosco. Archivio Chiesa Madre di
Bisacquino. Sez. 3 – Attività, serie 6 Discorsi d’occasione, fasc. 3.
[15] In
quel periodo a Bisacquino vivevano 31 sacerdoti: Pasquale Scavotto, Gianbaldo
Collura, Matteo Giaccone, Antonio Porcelli, Gregorio Marsolo, Santo Bondì,
Gaspare Piazza, Giuseppe Scavotto, Gioacchino Leone, Francesco Giardina, Pietro
Guarino, Michele Chiarelli, Francesco Pancamo, Giovanni Scavotto, Matteo
Scaglione, Gaspare Giaccone, Antonino Piazza, Costantino Margiotta, Stanislao
Mancuso, Gregorio Milazzo, Domenico Bacile, Erasmo Capra, Salvatore Lo Voi,
Francesco Giaccone, Giovanni Piazza, Pietro Miranda, Domenico Campisi, Giuseppe
Scavotto, Biaggio Gulotta e Saverio Plaia.
[16] L’Insigne
Collegiata Chiesa di Bisacquino è stata istituita con Bolla del Papa Benedetto
XIV del 30 novembre 1747, la successiva costituzione del 4 dicembre 1760
conferma che la Matrice consta di dignità e canonici. Tre sono
le dignità: il Decano Arciprete che è la prima dignità: il Tesoriere che è la
seconda dignità: il Ciantro che è la terza dignità e poi ci sono i canonici in
totale innumero di tredici (detti di prima erezione inclusi le tre dignità) ed
i c.d. Mansionari del Sacramento (c.d. sotto canonici). I canonici siedono
nella chiesa Madre nella parte alta del coro, con una mozzetta color rosa
antico, i mansionari siedono
nella parte bassa, questi ultimi vestono una mozzetta color nero. Nel 1893 il
Capitolo fu ridimensionato.
[17] Nel 1866 l’Arcivescovo di Monreale
Benedetto D’Acquisto venne arrestato perché si era ribellato all’espropriazione
dei beni ecclesiastici.
[18] Le suore seguivano le regole di S.
Benedetto e osservavano la più stretta clausura. Erano divise in due categorie:
le signore e le converse. Le signore per essere ammesse dovevano portare una
buona dote, lavoravano di ricamo, gestivano la loro farmacia, confezionavano
dolci squisiti ed erano obbligate a recitare il divino officio ogni giorno
(come fanno i sacerdoti). Le converse non portavano alcuna dote, ma erano
adibite a tutti i servizi materiali: pulizia, bucato, forno, cucina ecc., erano
tenute solo a recitare il Rosario. Cfr. Can. D. Bernardo
Lucia, Monografia di
Bisacquino, Palermo Tip. Ed.
Fiamma Serafica, 1968, pag. 95.
[19] Mons. Salvatore Milazzo nacque a
Bisacquino il 7 novembre 1800, da Nicola Milazzo e Rosaria Marino. Fu anche
amministratore apostolico della diocesi di Agrigento dal giugno 1871 al marzo
1872. Morì il 19 giugno del 1886 ed è seppellito nel camposanto di Monreale in
un’artistica tomba. Mons Saverio Ferina ha donato alla chiesa Madre un
suo ritratto, che è collocato nella sacrestia.
[20] Da una ricerca effettuata all’Archivio
Diocesano di Monreale ho trovato un atto relativo al concorso per Decano dopo
la morte del Decano Giovanni Scavotto. In quest’atto inoltre si afferma che
mentre per la nomina del Giardina fu fatto il concorso, per il Decano Scavotto
non fu bandito. Arcidiocesi di Monreale. Archivio storico diocesano. Fondo
Governo ordinario Sez. 9. Serie 6 – 1 Num. 2 – Concorso per Decano di
Bisacquino.
[22] Dopo il 1866 con una legge delle Stato
Italiano si stabiliva che le nomine all’interno della gerarchia ecclesiastica
erano di sola competenza della Chiesa. Prima avvenivano per nomina Regia e
quindi anche gli ecclesiastici erano dei funzionari dello Stato.
[24] Nell’Archivio diocesano di Monreale ho
trovato una lettera di ringraziamento del Decano Sacvotto, una copia è in mio
possesso.
[26] N. FILIPPONE, Don Calogero Di Vincenti –
L’Apostolo del sorriso, Tip.
Aurora, Corleone 1997, pag. 34
[30] A seguito di ricerche promosse
dall’Assessore Provinciale Pino Colca che hanno portato alla realizzazione di un
volume.
[31] A.G.Marchese, La Chiesa Madre di
Bisacquino-Artisti, maestranze e committenti dal Cinquecento al Settecento, con
prefazione di Piero Longo e Don Pasquale Di Vincenti e presentazione di
Salvatore Di Cristina, Arcivescovo di Monreale e Foto di Enzo Brai .Editore
Plumelia 2009.
[32] Tratto da un discorso del Decano Don
Calogero Di Vincenti. Archivio Chiesa Madre di Bisacquino. Sez. 3 – Attività,
serie 6 Discorsi d’occasione, fasc. 3.
[34] Il Capo del Governo Italiano Francesco
Crispi in Parlamento, nel 1894, illustrava il c.d. “Trattato di Bisacquino”,
per cui poneva lo stato d’assedio in tutta la Sicilia. Fantomatico trattato tra alcuni Stati della Santa
Alleanza, Francia e Russia, dei Legati Pontifici e della massoneria per cui la Sicilia doveva
essere annessa alla Francia. Cf. Francesco Renda, Socialisti e cattolici 1901 -1904,
Sciascia, Caltanissetta – Roma 1990.
[35] Tra i responsabili del Boccone del Povero
un ruolo preminente nel XX secolo ebbe Scaturro Ignazia.. Persona appartenente
ad una famiglia benestante di Bisacquino che viveva in una grande casa vicino la Chiesa di
Santa Caterina. Ancora giovane era conosciuta in paese per la carità ai poveri,
soprattutto ogni lunedì quando distribuiva loro l’olio. Inoltre con altre donne
del quartiere svolgeva assistenza ai malati poveri che non avevano alcun
parente. Ignazia Scaturro inoltre, con altre donne facenti parte della
Congregazione delle Sacramentine raccoglievano in paese per dare da mangiare a
questi indigenti, che facevano andare ben vestiti. Ignazia Scaturro come mi è
stato riferito da Mons. Saverio Ferina, ebbe un tumore in una gamba,
diagnosticato dai medici, che miracolosamente scomparì. Morì povera a soli 58
anni d’età nel 1938, nei locali del Boccone del Povero, in fama di santità,
assistita dalle suore Bocconiste che in seguito avevano preso possesso del
Boccone del Povero è che di loro ancora oggi se ne serba il ricordo come suore
veramente caritatevoli che spesero la loro vita per gli indigenti. La sua tomba
al cimitero si trova quasi di fronte a quella del Decano Scavotto.
[37] T. SALVAGGIO, <<Bisacquino Frammenti di
Memoria>>, Patrocinio
Comune di Bisacquino, Pezzino Editore, Palermo 1997, pag. 218 (Articolo di
Michele Avitabile – Nel paese
di Capra).
[40] E’ stato uno dei funerali più partecipato
a Bisacquino, come raccontatomi da Frate Antonio Ferlisi, che visse alcuni
aanni dopo la morte del Decano Scavotto.
[42] Stimato sacerdote che svolse il suo
ministero sacerdotale a Bisacquino e nel paese di Palazzo Adriano, dove è
sepolto.
[43] Aveva due fratelli sacerdoti Vito Scavotto
Canonico Ciantro e Domenico Scavotto canonico della Collegiata di Bisacquino.
[44] Curatore dell’ospedale, vi passava buona
parte della giornata confortando gli infermi, dando loro un aiuto spirituale ed
esortandoli alla pazienza, e quand’egli ne fu pure infermo fece suoi questi
precetti. Di quale zelo non diede spettacolo aiutando gli indigenti nel
quartiere di Santa Caterina. Non contento di questo lasciò tutto il patrimonio
all’ospedale appena chiamato agli eterni riposi l’ultimo della famiglia[44]. In una lapide posta nella Chiesa di
Santa Caterina a Bisacquino si legge la seguente epigrafe: <<Al Canonico Giuseppe
Scavotto e Consiglio Ciantro di questa Insigne Collegiata per pietà e
costumi a veruno secondo. Ai mendici infermi vigile amico e padre. Dei
languenti nel primo colera. Sostegno ed angolo consolatore. Per otto anni martire
di paralisi e vittima. Dei suoi beni largitor generoso. Per la cura delle
anime, per gli accolti nel pubblico ospedale. Morto di anni 72 il 30 gennaio
1859. Pace, benedizione e gloria>>.
[45] La frequenza nella preghiera, il passare
lunghe ore nell’orazione di Gesù in Sacramento, la sua modestia ammirevole, la
sua semplicità che garegiava con quella degli innocenti, il suo linguaggio
retto ed ispirato alle massime della religione, l’assiduità allo studio,
l’illibatezza infine dei suoi costumi ne fecero un uomo esemplare. Si distinse
come benefattore dell’ospedale.[45]
[46] Dopo l’espletamento del concorso fu
nominato Decano Arciprete Don Francesco Giardina. Il Capitolo alla fine degli
anni ’50 era così composto: Decano Giardina Francesco, Tesoriere Santo Bondì
Ciantro Francesco Pancamo, Canonici Giovanni Scavotto, Gregorio Milazzo,
Domenico Bacile, Giuseppe Scavotto, Costantino Margiotta, Antonino Piazza,
Pietro Epifanio Guarino, Salvatore Leone, Biagio Gulotta, Vincenzo Pizzitola,
Giuseppe Filippone, Gaspare Giaccone, Vincenzo Faccidomo più i
Mansionari.
[47] Fiorenza Giuseppa, legatissima al marito per
adempiere alle sue ultime volontà lasciò i suoi beni all’ospedale Scavotto. Il
cognato Emanuele Scavotto volle che fosse seppellita nella tomba di famiglia
dove nel marmo sono incise le sue virtù.
[48] Il laicato che oggi più che mai sembra
voler sostituire allo spirito cristiano uno spirito diametralmente opposto
aveva in lui un modello esemplare con le sue azioni rivolte verso gli infelici.
La vita infatti di Don Luigi possiamo chiamarla specchio di virtù e quantunque
vivesse nel mondo pure non ne partecipava allo spirito. La sua mano fu sempre
pronta verso i poveri, i quali vedevano in lui un assiduo soccorritore alla
loro indigenza e perché l’opera sua caritatevole non venisse mai meno dispose
che sul suo patrimonio prelevandosi pochi legati poi il resto fosse in
vantaggio dei poveri dell’ospedale.
[49] Fu merito del padre Emanuele
Scavotto se la Chiesa di Sant’Anna non passò al Comune, in
quanto aveva utilizzato i locali attigui del convento dei Cappuccini per
fondarvi l’ospedale Civico, assegnandogli la rendita di circa lire dieci mila
annue, sufficienti per il mantenimento di n. 16 posti letto per gli ammalati.
Inoltre per la Chiesa del Carmine, con il denaro ricevuto
dai genitori, mentre era Padre Provinciale abbellì il bel campanile, creò un
inferriata in ferro battuto all’esterno, abbellì il pavimento con marmo,
acquistò un grande organo ed abbellì di marmi gli altari.
[51] Ora
abitato dalle Suore dell’Ordine di Madre Teresa Cortimiglia e dagli anziani
della Nuova Opera Pia Madonna delle Grazie.
[54] Don Calogero Di
Vincenti. Archivio Chiesa
Madre di Bisacquino. Sez. 3 – Attività, serie 6 Discorsi d’occasione, fasc. 3.
[55] Tratto da un discorso del Decano Giovanni
Scavotto - Archivio Chiesa Madre di Bisacquino. Sez. 3 – Attività, serie 6
Discorsi d’occasione, fasc. 3.
[56]L’anno
accademico iniziava il 4 di novembre con la lettura di un discorso inaugurale,
le lezioni terminavano alla fine di maggio; ogni materia aveva la durata di
un’ora e un quarto, la scuola chiudeva alle ore ventuno e un quarto.
[59] Tratto da un discorso del Decano Don
Calogero Di Vincenti su San Giovanni Bosco. Archivio Chiesa Madre di
Bisacquino. Sez. 3 – Attività, serie 6 Discorsi d’occasione, fasc. 3
[60] Discorso decano Giovanni Scavotto.
Arcidiocesi di Monreale. Archivio storico diocesano. Fondo Governo ordinario
Sez. 9. Serie 6 – 1 Num. 2 busta 695.
[61] Archivio Chiesa Madre – Bisacquino - si
trova nell’archivio della chiesa Madre di Bisacquino, Sez. 3 attività
[62] Discorso Decano Scavotto, si trova
nell’archivio della chiesa Madre di Bisacquino, Sez. 3 attività, serie 6,
discorsi d’occasione, Fasc. 3.
[64] Documento inedito rinvenuto nell’Archivio
della Chiesa Madre dal Prof. A.G. Marchese ed in mio possesso una copia.
[65] N. Filippone, Don Calogero Di Vincenti –
L’Apostolo del sorriso, Tip.
Aurora, Corleone 1997, pag. 34
[68] Per quanto riguarda questa ricostruzione
ho preso degli spunti dal libro: I: Pizzitola, Mons. Giovanni Bacile, Tipografia Aurora, Bisacquino 1991,
pag. 54 e 55
[72] M. Naro, Quest’uomo
è il parroco – Giovanni Bacile decano di Bisacquino, Salvatore Sciascia editore,
Caltanissetta – Roma 2005, pag. 84
[73] Tratto da un discorso del Decano Don
Calogero Di Vincenti su San Giovanni Bosco. Archivio Chiesa Madre di
Bisacquino. Sez. 3 – Attività, serie 6 Discorsi d’occasione, fasc. 3.
[76] N. Filippone Don Calogero Di Vincenti – L’Apostolo del
sorriso, Tip. Aurora, Corleone 1997, pag. 34
[78] Vedi Visita pastorale di Mons. D. Domenico
Gaspare Lancia dei Duchi di Brolo eseguita a Bisacquino dal 29 settembre al 18
ottobre 1890. In cui si parla anche della conservazione
dei sacri arredi. Archidiocesi di Monreale. Archivio storico diocesano. Fondo
Governo ordinario busta 74.
[83] Vedi Arcidiocesi di Monreale – Archivio
Storico Diocesano. Fondo Governo Ordinario Sez. 9 Serie 6 – 1 Num. 1 busta 694.
Lettera di accettazione del Can. Giuseppe D’Armata del 10/12/1889.
[84] Vedi Arcidiocesi di Monreale – Archivio
Storico Diocesano. Fondo Governo Ordinario Sez. 9 Serie 6
[85] Vedi Arcidiocesi di Monreale – Archivio
Storico Diocesano. Fondo Governo Ordinario Sez. 9 Serie 6 – 1 Num. 1 busta 694.
[87] Una
solennità cui partecipava il Decano Scavotto avveniva per tradizione la
domenica dopo Pasqua quando si portava il precetto di gala agli ammalati che
abitavano nella via maestra, cioè nelle vie dove era solito passare la
processione del Crocifisso. <<Veniva chiamato “precetto di gala” cioè
solenne perché si svolgeva con grande solennità. Vi partecipava tutto il clero
in abiti corali, tutti i Congregati del Sacramento e una gran folla di popolo.
Circa le ore dieci usciva la processione dalla Matrice; precedevano i
Congregati del Sacramento col gonfalone; dopo veniva il clero e poi il Decano
in piviale colla pisside e il Santissimo. Il Decano alla porta della Chiesa si
sedeva sulla Portandina, e veniva trasportato durante tutta la processione;
questa veniva interrotta, quando il Decano entrava in qualche casa per fare il
precetto all’ammalato, ivi abitante. Un’altra occasione in cui si usava la Portandina era quando il Decano Scavotto la sera
portava il SS. Viatico a qualche ammalato. Appena suonava il segno della
campana, una gran folla accorreva alla Matrice. Il Decano seduto dentro la Portandina reggeva la pisside col Santissimo, i
canonici e la congregazione precedevano colle lanterne accese mentre il popolo
seguiva la Portandina >>.
Tratto da: LUCIA, Monografia
di Bisacquino, opera già
citata.
[88] La Portandina (sedia gestatoria) risale ai primi anni
del 1700. Su ogni lato vi sono bellissime pitture, che riproduco scene del
Vecchio e del Nuovo Testamento inerenti all’istituzione dell’Eucarestia (la
moltiplicazione dei pani; la lavanda dei piedi; l’ultima cena). Cfr. Antonio Giuseppe Marchese,
<<La Chiesa
Madre di
Bisacquino “UNO SCRIGNO D’ARTE>>, Fabio
Orlando editore, Palermo 1998
[89] La
“Portandina” è custodita nella Chiesa Madre di Bisacquino. Giovanni Scavotto fu
l’ultimo Decano a salire sulla “Portandina”.
[92] Decano Lino Di
Vincenti <<Maria
SS. del Balzo>>, a cura
del Santuario Madonna del Balzo, Tip. Aurora, Bisacquino 1992, pag. 7
[94]D. L. Di Vincenti, Maria SS. del Balzo – Patrona di
Bisacquino, a cura del
Santuario, Bisacquino – 1992, pag. 20
[95] Tratto dal libro di Giuseppe Pietramale – Enigma sul Triona, Renzo
Mazzone Editore, c.e.IlaPalma, 2009
[98] Notizie tratte da Can. D. B. Bernardo
Lucia, <<Monografia di
Bisacquino>>, Ed.
Fiamma Serafica, Palermo 1968, pag. 96
[99] Il Can. Pasquale Ceravolo maturò la
propria vocazione sacerdotale mentre era Decano di Bisacquino Giovanni
Scavotto. Frate Antonio Ferlisi che fu custode del Santuario della Madonna del
Balzo mi raccontava che alla messa che celebrava la domenica mattina in Matrice
c’era sempre la partecipazione di molte persone perché era un grande oratore.
Ancora diceva frate Antonio che dedicava molte ore della giornata allo studio.
[103] Tratto da un discorso del Decano
Scavotto. Archivio Chiesa Madre di Bisacquino. Sez. 3 – Attività, serie
6 Discorsi d’occasione, fasc. 3.
[104] Foto su gentile concessione del Rag.
Totuccio Salvaggio tratta da: T. Salvaggio, Bisacquino frammenti di storia, Patrocionio Comune Di Bisacquino,
2006, pag. 409