Romantica Bisacquino di Saverio Di Vincenti

 



Introduzione

 Nei primi anni del novecento, Bisacquino contava circa diecimila e trecento abitanti. In paese vi era un Ufficio Postale di 2° classe in via delle Poste. L’Illuminazione pubblica a petrolio
era di proprietà del Comune. Vi erano anche una Pretura e un Ufficio di Registro. Le opere caritative erano svolte dall’Ospedale Scavotto, dall’Orfanatrofio Madonna delle Grazie, dal Boccone del Povero e dal Collegio di Rosa. Per i forestieri di passaggio vi erano due alberghi uno appartenente alla famiglia Plaia e uno di proprietà della famiglia Orlando. In piazza vi erano tre bar di proprietà delle seguenti famiglie: Bacile, Gristina e Orlando. Erano presenti, anche, tre rivendite di tabacchi, delle famiglie Saladino, Filippone e Costa. I negozi più importanti erano quelli dei tessuti, che erano di proprietà delle seguenti famiglie: Barbato, Tamburello, Fiorentino, Cusumano e Caronna. Vi era anche un negozio di scarpe della famiglia Iannazzo e due di legnami delle famiglie Bacile e Sardegna. Per quanto riguarda i negozi di merciai erano di proprietà delle seguenti famiglie: Giammancheri, Mini, Russo e Florena. I fabbri, appartenevano alle seguenti famiglie: Raja, Bacile, Di Liberto, Noto e Russo. I mulini di grano erano in numero di cinque, appartenenti alle seguenti famiglie: Cutrera, Marino, Rosato e Trapolino che ne avevano due. Per quanto riguarda i frantoi erano in numero di cinque appartenenti alle seguenti famiglie: Bove, Alfano, Di Giorgio, Di Gregorio e Varca che lavoravano con l’utilizzo dei muli per far girare le macine in granito. Oltre al pane che si faceva in alcune famiglie dei quartieri vi erano pure tre forni, uno di proprietà della famiglia Naro, due della famiglia Di Liberto. Vi era anche una fabbrica di paste alimentari detta mulino Madonna del Balzo. Le farmacie erano due, di proprietà delle famiglie Noto e Villardita. I falegnami appartenevano alle famiglie Russo, Guarino, Naro, Plaia e Pancamo. Per quanto riguarda la sanità vi era un ospedale pubblico fondato dalla famiglia Scavotto. Intorno all’anno 1890 cominciò, la prima grande emigrazione dei bisacquinesi verso gli Stati Uniti d’America. Partivamo generalmente gli uomini, lasciando quelli già sposati mogli e figli in paese. Partivano anche intere famiglie come nel caso della famiglia del regista Frank Capra. Il giorno 21 maggio del 1903 fu completata di costruire la linea ferroviaria da Corleone a San Carlo che attraversava anche Bisacquino dove fu realizzata una stazione ferroviaria. Già era stato costruito il tratto che da Corleone portava a Palermo. Il treno partiva da Palermo dalla stazione di Sant’Erasmo. Il treno attraversava nelle vicinanze i seguenti paesi sia all’andata che al ritorno: Palermo, Villabate, Portella di Mare, Misilmeri, Bolognetta, Marineo, Cefala Diana, Villafrati, Godrano, Ficuzza, Corleone, Campofiorito, Contessa Entellina, Bisacquino, Giuliana e San Carlo. A Bisacquino il treno da Palermo arrivava nella tarda mattinata; ripassava con provenienza da San Carlo nel pomeriggio. 

ROMANTICA BISACQUINO

 Andrea, quel giorno nel paese di Bisacquino, in provincia di Palermo, era andato a trovare il cugino Pasquale, per l’acquisto di due tummina di terra, in contrada Stazione, ora, sotto un paracqua scuro, quella sera di novembre che diluviava, scendeva a piedi il Vicolo Ceravolo, una stretta scalinata, scansando l’acqua della lavina e dei canaloni. Poi, superato uno scacchiere, con cinque porte, era giunto in un arco, che era attaccato a quelle case riunite. L’arco nella parte interna, aveva il tetto portato a livello, invece, esternamente, dai due lati, aveva una forma curva. Sotto quest’arcata, illuminata da un lampione, dalla luce nebbiosa, Andrea si era riparato, dal lato della via Colca, per la tempesta che era sopraggiunta. Nel frattempo, altre due persone si erano messe sotto l’arco, di cui una di loro aveva gettato un intenso sguardo verso Andrea. Andrea, aveva avuto il tempo, di intuire quella lettura veloce, quando cominciò a piovere con meno intensità. Così, mentre scendeva la pioggia e soffiava forte il vento, Andrea e Maddalena, per direzioni opposte, continuavano il loro cammino, tra vicoli stretti e quasi al buio. La strada che Andrea passò era la via Colca, che doveva essere con molta plausibilità una strada molto antica, probabilmente d’origine saracina, per la ragione che nelle mura di fuori, dove c’era l’arco, si trovavano congiunte due alte scale in pietra, una a destra e l’altra a sinistra. Dopo di avere passato, davanti a una stalla, Andrea, decise di ripararsi al frantoio dei Varca, dove all’ingresso incrociava Angelo, coperto d’incerata, con una mula carica di olive. Onofrio funzionava alla mola, lavoro già del padre, gli operai Emanuele e Gaspare, toglievano le coffe dai torchi, quando, Giovanni con un recipiente si allontanava dal trappito; ora era il turno di Iaco. Intanto, Maddalena e la madre Vincenza, avevano salito il vicolo Ceravolo, poi avevano proseguito per la via Lauro, avevano attraversato la fontana e finalmente erano giunti a casa, tutto questo mentre che pioveva. La domenica per Andrea, cominciò, quando era ancora notte, perché si sentiva uno scampanio, proveniente dalla strada. Si alzò dal letto, guardò dalla balconata e scorse delle capre, che conducevano campanacci di smonta, accompagnate da tre pastori. Si trattava di circa quaranta capre, di proprietà del curatolo Nardo, che, con due dei suoi figli, accompagnava i caprini, dalla mannara, che aveva nella parte alta del paese a valle, nella contrada Pirrera. Aveva piovuto tutta la notte e Andrea la lavina la sentiva scendere sia dalla via Colca sia dalla Salita Maenza. Per quel giorno, Andrea, visto che non si lavorava nella bottega di fabbro ferraio del padre, aveva progettato di dedicarsi a risolvere alcune occupazioni. Appresso, a una lattiera di pane e latte uscì; era ancora buio, quando si diresse verso l’Acquanova. Il quartiere Acquanova, situato più sopra della piazza Triona, aveva un viale principale, da dove si snodavano delle viuzze, delle scalinate e dei cortili, facendolo diventare un labirinto; quartiere che, inoltre, era caratterizzato da un profilo assai particolare delle vie, pavimentate con delle pietre, che creavano, nelle parti centrali delle strade, un abbassamento, dovuto all’acqua della lavina. I viali di questo quartiere, di pochi metri di larghezza, acciottolati, erano ancora vuoti quando, Andrea, vi giunse. Il primo che Andrea vide, con provenienza dalla via Gallo, fu Santino che, con una quartara di creta, si stava recando all’abbiviratura; intanto, in lontananza, altri compivano la stessa azione, mentre alcune persone, andavano su alla Maddalena, per la prima messa. C’era un freddo intenso, pioveva piano e i fanali a petrolio coloravano, nel buio, il cielo blu scuro di una luce esclusiva, mentre la lavina continuava a scendere particolarmente nella via Acquanova, proveniente dal quartiere più in alto, quello chiamato di San Francesco di Paola. Poi, in avanti, Andrea, vicino la fontana dell’Acquanova, scorse una fila di persone che stavano riempiendo dell’acqua, sgorgante da un canale di rame, con recipienti di creta e dei secchi di metallo. Attraversata la via Gaudiano, Andrea, nel punto d’incontro tra la via Gannuscio e la via Lauro, prendeva in direzione della Madonna dell’Altomare. Alla Tu Mara dalla collina, in lontananza si poteva pensare di vedere il mare e quella Madonna, stava lì, a guardare tutti i migranti. Una leggenda affermava, che chi con devozione andava lì, a mezzogiorno, poteva sperare di far sentire la sua vicinanza ai parenti stretti che abitavano molto lontano. Nel cielo, cominciava a vedersi il chiarore del nuovo giorno, mentre Andrea, si portava più avanti della Tu mara, incrociando l’ampia scalinata che saliva per la Chiesa della Maddalena. Era una gradinata larga parecchi metri, con nella parte destra, un muro di cinta, anch’esso come la pavimentazione in pietra intagliata, la strada che Andrea percorse; poi, guardò con gli occhi verso l’alto, distinse la Chiesa della Maddalena e la porta del Cimitero. Giunto in questa Chiesa, Andrea si organizzò vicino l’apertura che conduceva al campanile, di fianco al confessionale. La messa durò ancora pochi minuti, giusto il tempo della benedizione in latino, poi le persone cominciarono a uscire dal tempio. Più tardi, dopo di avere spento con un coppo delle candele, il sagrista Vincenzo gli si era messo a parlare e insieme si erano portati nel sagrato. Nella chiesa era rimasto il Canonico Agostino a ragione della recita del divino officio d’ogni giorno. Girando e rigirando il discorso, i due cominciarono a parlare della famiglia di Maddalena e Vincenzo che aveva incontrato, per la sua età, tante persone nei viali e nei cortili di Bisacquino, raccontò a Andrea del casato. Andrea, pensava, mentre scendeva dal lato della via Montagna a Maddalena, mentre Vincenzo, che gli aveva assicurato che “In Sicilia basta uno sguardo!” progettava per il sabato seguente di parlare con Vito il calzolaio. L’alba, frattanto, coloriva quel grigio e freddo paesaggio d’inverno. Maddalena quella mattina, aveva cominciato la giornata molto presto, non era riuscita a prendere sonno. Si svegliò con il pensiero a Andrea, che aveva incontrato per caso sotto l’arco del cortile, fu così che pensò: << Ma chi poteva essere? >>. Con questo pensiero si confidò con sua sorella Pina con la promessa che non avrebbe rivelato alla madre Vincenza che l’aveva guardato. Maddalena cominciò, così, a lavorare al telaio, perché si stava preparando il corredo. Poco dopo, Pina e la madre Vincenza uscirono carichi di biancheria per andarli a lavare alla fontana dei Pileri; durante il tragitto Pina rivelò quanto aveva appreso dalla sorella Maddalena alla madre, strappandole la promessa che avrebbe fatto finta di non sapere niente. Frattanto, era andata a trovare Maddalena la vicina di casa Lucia, con la quale Maddalena si era confidata, perché era sposata e perché erano commari. La zia di Lucia, Carmelina, faceva la sarta, abitava nella discesa Cammarata, per cui progettarono con Maddalena che lo stesso giorno Lucia si sarebbe recata da sua zia per poter individuare, chi poteva essere il giovane che aveva incontrato Maddalena e che l’aveva guardata. La sera seguente, Lucia si presentò con una scusa da Maddalena, quando capitò di trovarsi da sola con Maddalena, rivelò che doveva trattarsi di Andrea. Giuseppina e la madre intanto mentre impastavano il pane, progettavano come potere fare sistemare Maddalena che già aveva vent’anni. Maddalena era bellissima, con un viso angelico, gli occhi dal colore del mare e i capelli neri. Andrea viveva con la sua famiglia nella via Savoca. La famiglia si alzò molto presto, all'aurora, dopo di avere preso una tazza di latte con del pane, i componenti della famiglia cominciavano la loro giornata, a secondo dei compiti loro affidati; Andrea, scese nella stanza del pianterreno, dove già il padre Saverio con il fratello Emanuele erano che lavoravano battendo nell'incudine del ferro caldo. Infatti, avevano una avviata bottega specializzata nel trasformare il ferro, la loro specialità era il fare zapponi. La madre Rosa con la figlia Francesca si erano recati a riempire dei recipienti di creta al canalicchio e mentre Rosa aspettava il suo turno apprese che la vicina di casa Elena, quel giorno doveva fidanzarsi in casa con Salvatore della via Mascari. Rosa disse a Giovanna queste testuali parole: "In queste cose, loro devono essere!", però quando Giovanna si era allontanata dal canalicchio, incrociando una sua cugina che in gioventù abitava nella via Mascari, chiese notizie sulla famiglia di Salvatore, apprendendo che aveva un terreno in località Palmeri. Andrea che allora aveva venticinque anni, aveva gli occhi cerulei e i capelli chiari, era alto un metro e 65 centimetri, per quei tempi, anzi, faceva figura. Quel sabato, nella piazza Triona, c’erano tante persone. Alcune, erano coperte con delle mantelle, altri con dei paltò, diversi con degli scialli, perché, c’era un freddo da neve. La piazza, per la sua estensione, racchiudeva queste strutture in muratura. C’erano alcune case della nobiltà, il fondaco, un convento, il palazzo municipale, una fontana, due chiese e addirittura un ponte, dove, quando pioveva, le acque convogliavano, provenienti dalla parte tramontana dell’abitato. Inoltre, la piazza Triona, era il luogo fisso d’incontro degli abitanti di Bisacquino, con le sedi dei circoli di passatempo, i caffè, le taverne, i saloni da barba e le altre botteghe. Intorno a questa piazza si protendeva il paese che, pertanto, si delineava a cerchio, con tante case e parecchie chiese, fabbricazioni costruite con blocchi di pietra, murati con della calce e dell’altro materiale. I saloni da barba, quel giorno, cominciavano a popolarsi di clienti, per lo più gente della campagna. In questo luogo, il sagrista Vincenzo parlava con Vito del nipote Andrea e per un eventuale fidanzamento con Maddalena. Lo stesso giorno, verso le sei della sera, Vito, si recava nell’abitazione del fratello Filippo padre di Maddalena, a portare l’ambasciata. Subito dopo, di avere comprato del tabacco, nella putia di mastro Ferdinando, che si trovava nella piazza Triona, Vito andava su per la via Acquanova e poi la Salita Perricone. Arrivava, così, nella Chiesa di San Francesco di Paola. La casa di Maddalena, si trovava, nella parte alta del paese, nella via Salerno, esattamente, adagiata su di un bastione. Attraversata la predetta via, Vito giungeva dove c’era la porta d’ingresso del fratello. Nel fabbricato, illuminato da alcune lampadine a olio, in compagnia del suo sigaro, Filippo, padre di Maddalena, stava accomodando un forno a legna. La moglie Vincenza, invece, con le figlie era al telaio e aveva posato della biancheria in un cannistro sopra il tavolo per cucirla. La via Savoca a angolo con la via Mascari cominciava con una scalinata, era una strada stretta, per questo doveva essere una strada molto antica, salendo la scalinata si perveniva in un piccolo cortile, dove vi era un frantoio, continuando si perveniva al canalicchio, in questo posto, quella sera, Andrea aveva appuntamento con Gaspare il contadino, che aveva pressappoco la sua età. I due si incamminarono per l’Acquanova, salendo per la via Reina, in quanto dovevano andare a parlare con Luciano, che abitava nella via Lauro. Luciano era dilettante nel cantare e aveva un gruppo musicale, composto da tre persone. Con Luciano, Andrea concordò una serata di notturno, davanti la casa di Maddalena, per il sabato seguente, se non pioveva. Intanto, nel cielo apparivano dei fulmini accompagnati dal rumore dei tuoni e cominciava a diluviare, per cui Andrea e Gaspare che già si erano congedati da Luciano, si riparavano sotto un balcone dove c’era una bottega di alimentari: era un balcone che cominciava con una scalinata e poi vi erano due archi. In uno di questi archi, intanto si riparava Giovanni il postino, che ritornava dalla casa della fidanzata Concetta, che abitava in via Cacioppo. I tre si misero a commentare le condizioni del tempo, e Andrea vedendo la lavina con alcuni suppellettili, affermò, con spirito di osservazione: << Questa sera, chi si può aiutare, si aiuta! >>; appena scampò un poco, essi si allontanarono dagli archi. Pioveva di nuovo quando Andrea e Gaspare arrivarono al Canalicchio. Filippo il falegname, padre di Maddalena, dopo di avere sentito la notizia dal fratello, sostenne che anche se si trattava di un buon partito, era persuaso che Maddalena, “Poteva scippare meglio”. Invece, la moglie Vincenza, che ancora aveva quattro figlie femmine da sistemare e si spaventava che qualcuna “Ci sarebbe rimasta dintra”, faceva come una magara, per convincere il marito. In ogni caso, non era una decisione, che si poteva prendere quella sera, per questo, il discorso fu rinviato al sabato successivo. Maddalena, intanto restava seduta al telaio, ascoltando da lontano la conversazione, si occupava di prepararsi il corredo e già era a buon punto. Erano passate le sette della sera, quando Vito il calzolaio, uscì da quell’abitazione, in compagnia del nipote Giacomo, fratello di Maddalena, non prima, di avere accettato, un bicchierino di rosolio. Pioveva. Filippo il falegname, dopo, cercando di non essere osservato dai vicini, lanciava con la moglie, della mobilia cascante e del materiale di costruzione, nella lavina, perché giorni prima, aveva avuto i mastri. E’ facile pensare, che quella sera, erano molti quelli che lo imitavano in questo gesto. Era uso, infatti, che nella lavina, un corso d'acqua che si formava nel centro delle strade, in discesa, quando diluviava, le persone gettavano varie cose, trovandosi il paese in pendenza, soprattutto pezzi di mobilia e sterro, sabbia e altro materiale, oppure, alcuni si pulivano le stalle, tra le recriminazioni dei vicini di casa. Successivamente l’azione, mastro Filippo, pensò di mettersi a letto. Vito il calzolaio, che risiedeva nel cortile Florena, aveva dato un passaggio, con l’ombrello, al nipote Giacomo, che dopo maritato, era andato ad abitare nella via Sardegna. Pervenuti i due in questa via, invitato ad entrare, Vito, visto il maltempo, dato dai fulmini, seguiti poi, dall’eco dei tuoni, aveva detto: <> e così aveva proseguito oltre. A Giacomo era sembrato atto dovuto taliarlo da dietro la porta, fino a quando non lo aveva visto collare oltre la cantoniera della via Sardegna, vicino la via Mancuso. La piazza era ormai quasi vuota di persone, per la tempesta, quando Vito vi giunse. C’era solo, qualcuno, come lui, che si andava coprendo dal temporale, sotto dei cornicioni, per rientrare a casa; per questo Vito saltò poi, sopra i cilindri di pietra, vicino il circolo di mutuo soccorso e girò accanto al ponte, prendendo in ultimo una discesa, che cominciava con una scalinata. Poco dopo, Vito, giunse davanti la porta d’ingresso della sua abitazione. L’apertura principale della casa, era composta da due porte, una chiusa da dentro con una stanga, l’altra, che invece si poteva aprire, dall’esterno, con una voluminosa chiave di ferro, coniata in maniera artigianale nel luogo. Dato che pioveva, Vito cercò con premura la chiave, da una delle tasche della giacca. La chiave fece dei giri nella toppa e, dopo tre firrioni, la porta che era a sinistra, alzando un lucchetto si aprì. La luce del giorno era già scomparsa. La notte cominciava a avvolgere con le sue ombre Bisacquino; abbattuta dalla stanchezza, Maddalena si lasciava cadere su di un letto di tavola, coperto con un materasso di lana, delle lenzuola bianche e una coperta bianca, metteva giù la testa sulle mani giunte e si addormentava. Con il suono della campana che annunziava l’origine della giornata, si alzava, usciva dalla stanza, piccola e stretta, coabitata con le sorelle e si metteva a guardare da un balcone le strade di Bisacquino. L’inverno e l'aurora pitturavano il paese di fiabeschi colori, la bianca luminosità dell’alba si posava sulle chiese, i palazzi, le case, le botteghe e poi scendeva sulle piazze, le strade, le viuzze e i cortili, i luoghi in cui in quel momento i calzolai, i fabbri ferrai, i falegnami, i contadini e i pastori, principiavano a svegliare l'abitato. Maddalena immaginava come poteva essere bello quel giorno, se avesse potuto incontrare Andrea, ma intanto doveva compiere quello che aveva fatto qualunque mattina precedente, pettinarsi i suoi lunghi e belli capelli neri, sistemare i letti della famiglia, fare qualche viaggio alla fontana, e poi sedersi a lavorare per il corredo. In quell’alba i suoi occhi dal colore del mare si perdevano nel paesaggio di neve che copriva i tetti di Bisacquino. La casa di Andrea, era un’abitazione con un pianterreno e due piani, si esponeva nella via Savoca; la porta d’ingresso si trovava in un canto, vale a dire a angolo tra due strade, in prossimità con la salita Maenza; più sopra della porta d’ingresso c’era una finestra che guardava al canalicchio; nella parta che s’affacciava nella scalinata della via Savoca, c’erano tre balconi, due al primo piano e uno al secondo. Nel pianterreno, accanto alla bottega, la famiglia di Andrea aveva un piccolo pollaio dove tenevano, una quindicina di galline. Quasi tutte le famiglie, allora a Bisacquino, avevano un piccolo angolo riservato al pollaio. Quella mattina in strada, c’era movimento, perché Caterina aveva perso una gallina. Sicuramente, come capitava spesso, la gallina si era aggregata a qualche altro gruppo ed era andata a finire in un altro pollaio; infatti dopo poco la gallina si trovò. Andrea dalla porta della bottega, guardava questi fatti, quando andò a trovarlo Vincenzo il sagrista, che gli comunicò che domenica pomeriggio avrebbe avuto risposta da Vito il calzolaio. Siccome si dovevano consegnare alcuni zapponi al contadino Giorgio che aveva dei terreni vicino il fiume Tarucco decise di andarci Andrea. Giorgio abitava nel quartiere di San Francesco di Paola. Andrea, colse l’occasione, così di ritorno, poteva passare davanti la casa di Maddalena. Maddalena, intanto, progettava di andare a farsi cucire dei vestiti; si era organizzata con Lucia per andare dalla sarta in via Giardina. Maddalena, quel giorno indossò una gonna lunga dal colore bordò a cui abbinò una camicia verde e un maglione blu scuro, per meglio evidenziare i suoi occhi dal colore del mare; indossava anche delle scarpe color marrone con dei tacchi alti; visto che era alta un metro e 62 centimetri d’altezza. Lucia, passò dalla casa di Maddalena, intorno alle ore nove e diciotto minuti. Lucia era sposata da un anno e mezzo con il contadino Giorgio. I due dalla via Salerno, si spostarono verso la salita Oddo e da qui, andarono in direzione della Chiesa di San Francesco di Paola. La Chiesa era aperta, per cui decisero di sostarvi per qualche attimo. Era una Chiesa molto antica, con un bel campanile; all'interno, al centro vi era la statua da cui prendeva il nome la Chiesa, nei fronti laterali vi erano alcuni altari, sopra l’ingresso, inoltre, era stata creata una balconata, dov'era collocato un organo a canne. Nell’interno della chiesa, in prima fila era seduto il Canonico Baldassare, che con alcune persone anziane del quartiere, stavano recitando il Santo Rosario. A un cenno con gli occhi di Maddalena, Lucia scorgendolo, si approssimò a uscire dal tempio. Maddalena e Lucia proseguirono in direzione della via Lauro e poi scesero dalla gradinata della via Gallo. Frattanto, Andrea si stava recando, portando alcuni zapponi, posati in una "coffa" in direzione della via Zito, quando si trovò davanti Maddalena. Andrea quel giorno, indossava un maglione color verde, un paio di pantaloni di fustagno e degli scarponi color cuoio. Andrea, nel vedere Maddalena, fu colto dalla timidezza, non le rivolse lo sguardo; anche Maddalena non guardò, perché pensò: << Una volta va bene guardarlo, ma due! >>; perchè non sapeva come l'avrebbe interpretato Andrea, un altro sguardo; Lucia, invece, guardò tutti e due. Così, ognuno, proseguiva per la propria strada. Andrea era preoccupato, perché non aveva guardato Maddalena e Maddalena era preoccupata perché Andrea non l’aveva guardata. Lucia, invece, diceva a Maddalena che "Se l’era saputo scegliere!". L’orologio della Matrice, intanto, suonava mezzogiorno, suono sentito sia da Maddalena che anche da Andrea. Vito il calzolaio con la moglie Anna, dovevano andare a trovare la famiglia di Maddalena; erano le ore diciotto e quattordici minuti quando marito e moglie uscirono; così, passarono davanti il convento del Carmine, poi nei pressi dei negozi di tessuti del corso Triona; questo viale era una delle strade più importanti del paese, infatti c’erano lì, i migliori negozi di cucito e di stoffa e anche alcune sartorie. Dal corso Triona, Vito e la moglie poi, si spostarono nella via Plaia, da qui nella salita Giaccone e pervennero nella via Mancuso; più tardi presero la salita Oddo, arrivarono nei pressi della via Santo Cono e finalmente giunsero nella via Salerno. In casa di Filippo, quando arrivarono, ci fecero largo, già, si era discusso, tra l’altro, sulla risposta da dare. Filippo, chiese un parere a Maddalena, la quale, finse di non conoscere lo spasimante; ma che accettava la scelta del padre e che era contenta del nuovo fidanzato; però, in cuor suo pensava, che aveva saputo gettare gli occhi. Più tardi Vincenza offrì ai cognati dei biscotti di casa e del rosolio; erano già passate le ore venti, quando Vito con la moglie uscirono dalla casa di Maddalena; il tempo faceva “mutazione”, ma non pioveva. Il cielo era stellato. Alle ore venti e trenta Andrea era già al canalicchio, dovette aspettare circa dieci minuti prima che arrivasse Gaspare il contadino. Andrea indossava un vestito di velluto liscio color marrone, dove nel taschino aveva messo un fazzolettino bianco, portava un cravattino pure esso bianco, mentre le scarpe erano di color marrone. La mattina era stato dal barbiere Ignazio che gli aveva fatto la barba e tagliato i capelli. Quando arrivò Gaspare, si diressero sotto l’arco della salita Oddo, dove avevano appuntamento con Luciano e gli altri musicisti; andarono tutti nella via Salerno. Durante il tragitto, Andrea, non sapendo ancora cosa aveva deciso la famiglia di Maddalena, era un poco preoccupato, perché non poteva sapere quale poteva essere la reazione del padre e dei fratelli di Maddalena. Nei pressi della casa di Maddalena, Andrea si collocò in prima fila, più dietro l’orchestrina e più dietro ancora Gaspare, il quale pensava: “Che non si può sapere mai!”. Fu allora che Luciano, che era un inventore di canzoni intonò il brano “Biddizza paisana”; ci pensarono Girolamo che suonava la fisarmonica e Vincenzo alla realizzazione di una musica adattabile. Questo il testo del ritornello: << La luna stasira vosi affacciari cu li stiddi, pi ammirari li beddi tuoi capiddi, chi lustru chi fa stu cielu blu, su comu l’occhi chi hai tu. Biddizza paisana ntona la campana!. Biddizza paisana ntona la campana! >>. Andrea nel sentire queste parole era emozionato, ma, dalla finestra, dove presumibilmente dormiva Maddalena, non si vedeva nessuna luce. Maddalena, però, era dietro la finestra ed era pure emozionata, a sentire quelle parole. Allora Maddalena, per fare capire che era rimasta contenta pensò, << Ma magari l’accendo il lume, così lo capisce che ci tengo a lui! >>. Era un lume di quelli a petrolio, con nella parte di sotto una parte in rame e che finiva con un condotto in vetro. Ci perse un poco di tempo, ma finalmente, nell’oscurità della notte, dalla finestra di Maddalena si poteva scorgere quel bagliore esile; in quell'attimo, sul volto di Andrea, apparve un sorriso. Alcune settimane dopo, Andrea, con i genitori e gli altri componenti della famiglia, uscirono di casa, verso le cinque della sera; erano vestiti tutti in maniera elegante. Andarono a piedi verso l’Acquanova, presero dalla salita Perricone, giunsero nella via Capra e da qui si diressero nella salita Oddo. Vicino l’arco, che si trovava tra la via Capra e la salita Oddo, la famiglia, incontrò, alcune persone di quel vicinato, bastò uno sguardo per capire che già la notizia era circolata. Intanto, da una bottega di generi alimentari, nel frattempo uscivano un gruppo di persone, quando Andrea, incrociava il contadino Natale che stava posteggiando due muli in una stalla. Era una serata d’inizio dicembre e c’era freddo, l’oscurità era occultata da quell’esile luce dei fanali a petrolio, accesi nella notte, che permetteva il passaggio. Durante il percorso, Emanuele, nonno di Andrea, rievocò il suo fidanzamento ufficiale; erano altri tempi e si camminava al buio, non c’erano ancora le candele. Manuele, era della classe mille ottocento ottantaquattro. Ad un tratto, in casa di Maddalena, sentirono bussare alla porta, era arrivato Andrea. Pertanto, Andrea, visto che gli aveva presentato la famiglia, da quel giorno, poteva andare a trovare il sabato sera Maddalena, perché ora era fidanzato in casa; così poteva vedere ogni sabato la zita, ma in lontananza, di la dentro a qua dentro, e solo per il tempo della durata del consumo di una lampada ad olio. Più tardi Rosa, madre di Andrea, invito la famiglia di Maddalena a pranzare da loro per il giorno dell’Immacolata. Maddalena sembrava bellissima, con un vestito color rosa, che era stato cucito in una delle migliori sartorie del corso Triona; anche Andrea per come era vestito faceva figura, cose giuste. Andrea nel guardare Maddalena, ripensò a quella sera che l’aveva vista per la prima volta sotto l’arco della via Colca, ora, che la vedeva nel suo massimo splendore, si accorse che era veramente molto bella. I suoi lunghi capelli neri scivolavano lungo le spalle e si perdevano nel rosa del vestito, i suoi occhi blu, irradiavano una luce particolare, come, una fontana di notte illuminata dalla luna. La cosa che però colpì, più di tutto Andrea, di Maddalena, era il sorriso umile, che si perdeva su di un volto angelico. Ebbe anche un po’ di timore, nel pensare che la donna che si era scelta, era veramente così bella, sembrava un angelo caduto dal cielo. Anche Maddalena, ogni tanto, guardava Andrea, ma ogni tanto, lo colpirono i suoi occhi tra il verde e l’azzurro, erano veramente molto belli, si confondevano in quel vestito blu, con gilè blu, indossato da Andrea, abbinato a una cravatta tra il rosso scuro e il blu e a un paio di scarpe nere. Per tutta la sera, Andrea e Maddalena si guardarono a debita distanza, intanto che Vincenza ogni tanto buttava lo sguardo sul portamento di Andrea, così come Rosa su quello di Maddalena. Andrea e Maddalena non scambiarono alcuna parola, ma a rompere il ghiaccio ci pensarono le nonne di Maddalena e Andrea, che rievocarono il tempo del loro fidanzamento. Il padre di Andrea e il padre di Maddalena, intanto, si erano appartati, in un’altra stanza, perché Filippo ci teneva alla serietà di Andrea e non avrebbe tollerato una brutta figura. Quando, fu l’ora di tornare a casa, a Andrea mentre salutava Maddalena, gli parse giusto dirle “Sei veramente molto bella!”; Maddalena, non disse nulla, ma sul suo viso c’era un sorriso. Andrea, la mattina seguente, che era domenica, uscì di casa verso le undici, perché al canalicchio si doveva incontrare con Gaspare. Davanti la fontanella vi trovò Concetta e Giuseppina, che gli fecero gli auguri perché si era fatto fidanzato. In effetti, Concetta che abitava in via Zito e allora aveva ventidue anni, un pensiero su Andrea l’aveva fatto, ma una volta saputa la notizia, aveva pensato di conquistare Gaspare. Concetta aveva i capelli neri e gli occhi scuri, faceva pure lei figura. Gaspare arrivò subito dopo, Andrea, notò che Concetta si comportò con Gaspare in modo molto più cordiale ma, non poteva pensare che un tempo Concetta lo voleva. Andrea e Gaspare decisero di scendere dalla via Zito, poi attraversarono la via Fiorentino e pervennero nella via Teatro, già erano giunti nella piazza Triona. In questo posto, c’erano già tante persone. Alcune aspettavano il loro turno nelle sale da barba, altri erano riuniti a gruppi e discutevano, Andrea e Gaspare si fermarono nel gruppo, dove faceva da “capo testa”, il curatolo Ignazio. L’argomento del giorno era sulla vendita di un cavallo, che era stato venduto, due giorni prima; alcuni dicevano che il prezzo di vendita era stato molto alto, altri, invece, che conoscevano il cavallo, dicevano che quasi l’avevano regalato. A mezzogiorno in punto, appena suonò, l’ultimo tocco dell’orologio della torre accanto la Matrice, Andrea e Gaspare entrarono nella Chiesa Madre, che già era piena di persone; fu proprio in quel momento che, sull’altare maggiore entrava il Capitolo: composto da undici Canonici che indossavano una mantellina color rosa antico e dal Decano. In Chiesa, gli uomini erano tutti seduti nella fila di destra, invece le donne, in quella di sinistra, i posti erano tutti occupati. Andrea e Gaspare decisero di attraversare tutta la chiesa, dal lato dov’erano seduti gli uomini, per vedere se c’erano posti a sedere. Andrea si accorgeva, che, vicino al quadro della Madonna del Balzo, nella dodicesima fila, dove erano sedute le donne, c’era pure Maddalena. Allora, Gaspare, accorgendosi che nella fila di fronte, accanto a quella dov’era seduta Maddalena, stavano due suoi cugini, con cautela, gli chiese se potevano cedergli i posti. Filippo e Giuseppe acconsentirono; per cui Andrea e Maddalena si trovarono a due passi l’uno dall’altra. Per tutta la durata della messa, Andrea guardò Maddalena, idem Maddalena. Finita la messa Andrea aspettò che prima uscisse Maddalena, la seguiva con gli occhi; Maddalena e la sorella Giuseppina attraversarono la piazza e presero in direzione della via Teatro; fu proprio quando giunsero in prossimità di questa via, che Maddalena, si girò per vedere se in piazza c’era Andrea; infatti lo trovò vicino la sala da barba di mastro Salvatore. Andrea raccolse lo sguardo, anche se già erano un poco distanti. Andrea per poter sposare Maddalena, doveva fare passare come minimo un anno per tradizione. Anche Maddalena che era già giunta vicino la fontana dell’Acquanova, pensava la stessa cosa; per questo ideava che doveva trovare un modo, più diretto, per poter comunicare con Andrea, in quanto a casa sua si potevano vedere, solo per pochissimo tempo e solo a distanza “di la dentro a qua dentro”. Giuseppina le consigliò di scrivere una lettera a Andrea, per dirgli quello che provava nei suoi confronti che poi, il modo per fargliela recapitare, si sarebbe trovato. Andrea intanto, stava facendo compagnia a Gaspare, che voleva Pasqua, così, decisero di andare verso di lei, dirigendosi verso il quartiere della Grazia. Gaspare aveva ventisei anni, occhi castani e capelli neri, era alto un metro e sessantaquattro, per quel tempo poteva passare. Pasqua, aveva gli occhi blu e i capelli sul biondo chiaro lunghi, era alta un metro e sessanta circa e aveva ventidue anni. Giunti in prossimità della Badia, Gaspare e Andrea affrettarono il passo, riuscendo a superare Pasqua che era insieme alla sua amica Caterina. Andrea non li guardava, per evitare che qualcuno poteva andarlo a raccontare a Maddalena. Gaspare, invece, guardava “a secco” Pasqua, ma lei non gli rivolse nemmeno per un attimo lo sguardo. Allora, Gaspare che in viso era un poco rosso, decise di prendere dalla via Senapa, insieme con Andrea. Pasqua che abitava vicino il cortile Fontanetta, fece il giro lungo, passando davanti la Chiesa di San Francesco d’Assisi. Durante il tragitto, Pasqua rivelò a Caterina che Gaspare gli piaceva, ma che non l’aveva guardato per timidezza. Gaspare, quand’era giunto vicino la piazza Triona, disse a Andrea: << che non si può mai dire di quest'acqua non ne bevo, e che per abbattere un albero ci vogliono più colpi! >>, per cui avrebbe ritentato. Andrea, lo voleva convincere a cambiare strada perché pensava che lei non lo volesse. Andrea, inoltre, era un poco preoccupato, del fatto che aveva fatto compagnia a Gaspare; comunque, pensò Andrea, che Gaspare si poteva attaccare, che non l’avrebbe più accompagnato, perché meglio dire che so e no che sapevo. Nella casa di Andrea, quel giorno c’era confusione, perché si apparecchiava, in attesa che arrivassero i familiari di Maddalena. Era il giorno dell’Immacolata e in tutte le case del paese c’era movimento, perché quel giorno a tavola si trovavano cibi che durante le domeniche o i giorni non festivi non era facile trovare, erano altri tempi. Con l’arrivo del corteo con a capo Maddalena, che indossava un abito a giacca verde e faceva la sua figura, dopo i saluti, il gruppo si organizzò nel lungo tavolo sistemato nella stanza da pranzo. Come capotavola da un lato c’era Saverio, padre di Andrea mentre dall’altro lato Filippo padre di Maddalena. Dopo poco Rosa con le figlie, avevano finito di apparecchiare e cominciavano a portare le pietanze a tavola. Oltre il pane e il vino locale, per primo fu servita della pasta di casa a forno, detta incaciata, condita con del sugo di pomidoro, del formaggio e della carne. Per secondo delle bistecche impanate, della salsiccia, uova sode e dell’insalata. In ultimo, delle aranciate, il riso con il dolce e i cannoli di ricotta della casa. Avevano fatto figura i genitori di Andrea, cose giuste. Naturalmente, il pranzo non poteva finire che con la torta di ricotta preparata da Maddalena e fu solo nel momento di tagliare la torta che Andrea e Maddalena si trovarono accanto, in quanto si doveva festeggiare il fidanzamento. Durante il pranzo, ogni tanto Andrea guardava Maddalena, idem Maddalena, ma ogni tanto. Gli argomenti che si affrontarono, durante il pranzo, furono centrati sul fidanzamento, che doveva durare almeno un anno per conoscersi Andrea e Maddalena, che entrambe le famiglie erano contente e del pranzo che era buono. Il nonno di Andrea, Emanuele, che già era un poco in avanti con gli anni, rievocò il suo matrimonio, affermando: << Che oggi tutto è lecito, ma prima era diverso, il mondo era cambiato! >>. Terminato il pranzo, alle ore quindici e quarantacinque Maddalena e la sua famiglia tolsero il disturbo, non prima di avere invitato Andrea e la sua famiglia a pranzare da loro il giorno di Natale. Quando erano giunti vicino il canalicchio, il padre Filippo disse a Maddalena: << Andrea si porta bene, la sua figura la fa! >>; era quello che pensava anche Maddalena. La mattina verso le otto, Lucia passò dalla casa di Maddalena, ufficialmente dovevano andare dalla sarta di via Giardina; invece, il loro intento, era di andare da un’amica di Lucia, Anna, che sapeva scrivere. In strada, quando Maddalena uscì, era popolato, alcuni erano impegnati a fare dei viaggi dalla fontana, altri badavano alle loro galline, altri pulivano l’esterno della casa, i bambini giocavano per strada. Anna, abitava nella via Capra, per questo, Maddalena e Lucia attraversarono la via Salerno, pervennero nella via Santo Cono, dove bevvero dell’acqua alla fontanella, scesero dalla salita Oddo e attraversarono quasi tutta la via Capra. La casa di Anna, si trovava accanto a un arco, era un arco molto antico, che doveva essere di origine araba. Anna non è, che sapeva scrivere tanto bene, ma per quei tempi poteva andare. Era quasi della loro età; il padre mastro Mario, aveva nella stanza accanto, una piccola sartoria. Maddalena dettò la lettera, prendendo anche dei suggerimenti da Lucia e Anna, questo in sintesi, il contenuto della lettera: “Gentilissimo Andrea, le scrivo questa lettera, per dirti che, da quando ti ho visto sotto l’arco, ho capito che eravamo fatti l’uno per l’altra, sono belli i tuoi occhi e mi piace il tuo portamento, anche se non possiamo parlare molto spesso, sappi che io pensò sempre a te, che, non mi sembra l’ora che ci sposiamo e abbiamo tanti figli; tua Maddalena”. Dopo, di avere ringraziato Anna, Maddalena, nella Salita Perricone consegnò la lettera a Lucia. I due poi, scesero nella via Acquanova, attraversarono la via Reina e pervennero nella via Lauro, proprio in prossimità della fontana dei Pileri, si fermarono per pochi minuti, per fare passare il capraio Aurelio che con due dei suoi figli, accompagnava, una cinquantina di capre, nella mannara dell’Altomare. Già alle otto e quarantacinque erano in via Salerno; Lucia, prese in direzione della sua casa, che si trovava quasi all’angolo della strada, mentre Maddalena era già arrivata. Lucia, aveva nascosto la lettera nella tasca del paltò, giunta a casa la posò sul comò. Sempre quella mattina, Andrea e Gaspare erano scesi in piazza, perché Andrea, doveva comprare delle castagne per casa; Gaspare, era amico di Masi, che aveva in piazza una bottega di generi alimentari; gli avrebbe fatto fare un buon prezzo. In piazza, c’erano molte persone, tra cui alcuni caprai e pecorai che aspettavano il loro turno, per far bere le capre e le pecore, nella fontana della piazza; a un certo punto, Salvatore incomincio a “abbanniare”; perché era il banditore del paese. Salvatore, per divulgare le notizie, si serviva di una cornetta, di proprietà del Municipio; all’udire il suono della cornetta, la gente che era nella piazza, fece silenzio, per sentire la novità. Nel silenzio della piazza, Salvatore annunciò che s’era persa una capra in contrada Menta, che apparteneva a Bernardo proprietario del loco di via Villa; qui ci fu una risata generale da parte dei presenti, perché quando si perdeva una capra, non sapendo chi la trovava, a chi apparteneva, generalmente, o se l’andava a vendere oppure aspettava una grande festa, per qualche pranzo con tutti i parenti. Il fatto che veniva divulgata la notizia, accadeva perché, era la consuetudine del paese. Gaspare, che si trovava in piazza, con Andrea, sentendo la notizia, disse a Andrea: “Se non mi fidanzo ora, con Pasqua, non mi ci fidanzo più!”. Infatti la capra, apparteneva al padre di Pasqua. Gaspare, che conosceva, tutti i caprai del paese, pensò di farsi un giro, così, anche se comprava la capra, si sarebbe fatto bello, con il padre di Pasqua. Andrea, così, ritornò verso casa, carico di un sacco di castagne sulle spalle, mentre Gaspare, si diresse verso la via Menta; giunto vicino la Chiesa del Carmine, Gaspare, andò a bussare, nella casa del sensale Gino; con lui, sarebbe stato tutto più facile; il sensale Gino, disse a Gaspare, che nessuno gli avrebbe detto, che aveva nascosto la capra; per cui le consigliò di comprare un’altra capra, che gli avrebbe fatto capitare a buon prezzo; comunque, vista la determinazione e l’amicizia con Gaspare, si diresse con lui, verso la via Menta, anche se in cuor suo, Gino, era convinto, che era un viaggio perso. Per strada, Gino pensava: << Con quante capre che ci sono nel paese, perché vuole a tutti i costi comprare questa? Ma! In trent’anni di attività, mai mi era capitato che uno veniva a cercare una capra! >>, Gaspare, al contrario pensava: << Vuoi vedere che c’è arrivato che sono innamorato di una delle figlie di Bernardo! >>; comunque, arrivarono nel quartiere Menta; così cominciarono a girare nei vari recinti, dove c’erano le capre e le pecore, a domandare se qualcuno avesse trovato nei pressi una capra; ma tutti, restavano incuriositi, perché non era mai successo che qualcuno, andava a cercare una capra e ognuno diceva che quella mattina, con il suo gregge, si trovava altrove. Giorgio, era ritornato a casa, dal lavoro in campagna a Tarucco, quando sul comò, vide la lettera. Giorgio, che era analfabeta, pensò << Ma che cosa è questa cosa? >>. Così, chiamò la moglie Lucia. La moglie, disse a Giorgio, che quella lettera, lui, la doveva consegnare, di nascosto, a Andrea; in quanto Maddalena se lo meritava, perché era stata, loro testimone di matrimonio. Giorgio, considerando l'ora, decise di consegnare la lettera prima del pranzo; così, si recò nella bottega di Andrea, con la scusa di volere vedere dei zapponi. Saverio, padre di Andrea, che era in bottega, quando sentì la richiesta, visto che alcune settimane prima, aveva venduto a Giorgio, cinque zapponi pensò: << Ma chi si nni fa, cu tutti sti zappuni?" e andò nel retro della bottega, ad andare a vedere se ne erano rimasti. Fu in quel momento, che nella bottega non c’era nessuno, che Giorgio consegnò la lettera ad Andrea. Zapponi non ne erano rimasti! Durante la strada del ritorno, Gaspare confessò a Gino, che avrebbe voluto acquistare la capra, perché voleva come fidanzata una delle figlie di Bernardo; nel sentire, queste parole, Gino gli disse: << Me l’avresti potuto dire prima! >>; allora, Gino disse a Gaspare di ritornare nei recinti della Menta. In questi luoghi, Gino, invitò, Gaspare ad aspettarlo vicino una masseria; mentre lui, ritornava dal capraio Totò, che era il più anziano di tutti i caprai della zona. Dopo poco, Gino chiamò Gaspare, intanto che, il capraio Nunzio, arrivava nel recinto di Totò, con la capra appartenuta a Bernardo. Gino, riuscì a far fare un buon affare a Gaspare, visto che il suo mestiere era quello di fare il sensale; così Gaspare acquistò la capra, che lasciò in custodia al capraio Nunzio. Erano le undici e quarantacinque quando Gaspare, lasciò Gino. nei pressi del convento del Carmine, ringraziandolo; così proseguì e salì in direzione del corso Triona. Andrea era andato a cercare Gaspare, quando i due s’incontrarono, per caso, nella via Colca, vicino la bottega del cordaio Enrico. Andrea, raccontò a Gaspare della lettera, Gaspare a Andrea della capra. Quando, si congedarono, Andrea pensava, che Gaspare aveva buttato al vento dei soldi, perché con Pasqua era tempo perso. Per tutto il pranzo, Andrea, pensò a cosa poteva esserci scritto nella lettera, visto che non sapeva leggere. << Forse Maddalena, l’aveva lasciato con la lettera, forse voleva prendere tempo, o cos’altro? >>. All’ultimo risolse, che appena finito di pranzare, sarebbe salito alla Maddalena, per vedere se Vincenzo il sagrista, conoscesse qualcuno che sapesse leggere. Nella Chiesa della Maddalena, Andrea, non trovò Vincenzo. All’interno c’era solo, il Canonico Agostino, che stava sistemando dei vasetti nell’altare maggiore. Andrea, colse l’occasione, chiedendo al Canonico se poteva leggergli la lettera. Si diressero nella sacrestia. Era una piccola stanza, con a destra un armadio, dov’erano posati i paramenti sacri, mentre sulla sinistra c’era un piccolo tavolino, faceva da sfondo un’immagine della Madonna del Balzo, collocata nel muro dove c’era il tavolino. Sedutosi, il canonico Agostino lesse la lettera a alta voce, così, Andrea, fece un sospiro di sollievo e venne a sapere quali erano i sentimenti nei suoi confronti da parte di Maddalena. Andrea, poi, pregò il Canonico, se poteva scrivergli la lettera di risposta. Non si sa cosa dettò Andrea, si sa solo che il Canonico ci diede una buona sistemata alla lettera, si può dire che la scrisse tutta lui! Bernardo, con i figli Gregorio e Cosimo, erano intenti a dare da mangiare a delle capre, che si trovavano in una stalla nella via Senapa. Pasqua, era seduta al telaio con le sue sorelle Paola, Vincenza e Rosa, quando, sentirono bussare alla porta. Andò ad aprire, giusto giusto, Pasqua, che si trovò davanti Gaspare. Il tempo faceva mutazione, era ario di neve. Era il tredici giugno, quel giorno, una Luce particolare, dipingeva, il paese di Bisacquino di immagini suggestive, i primi bagliori del giorno, si univano con l’ombra delle case, dove ancora non era apparso il sole, una luminosità nuova, si stendeva su quel paese, con i suoi campanili, i palazzi, le case e le botteghe, che si perdevano tra i viali, le strade e le viuzze che confluivano nella piazza. Andrea, di lì a poco, con la sua famiglia e gli invitati del suo lato, si portavano nella via Santo Cono; c’erano anche Pasqua e Gaspare, che grazie alla capra si erano fatti fidanzati; c’era anche, Concettina, che per il fatto, che pure Gaspare s’era fatto fidanzato, aveva optato, per un altro vicino di casa, Francesco e questa volta non se lo era lasciato scappare. Nei pressi della Chiesa di San Francesco di Paola, che faceva ad angolo con la via Santo Cono, Andrea, guardò verso la casa di Maddalena. Nella via Salerno, i vicini di casa di Maddalena, avevano finito di lavare la strada, avevano fatto tutti sin dall’alba, molti viaggi, dalla fontana; ora si preparavano a stendere delle belle coperte bianche dai balconi; in fondo Maddalena, in quella strada, l’avevano vista crescere. I bambini, quel giorno non giocavano, erano tutti in fila, vestiti in modo elegante, con tanti cannistri pieni di petali di rose; tutti gli abitanti della via Salerno, incominciavano a prepararsi per andare al matrimonio, aspettando di vedere passare la zita. C’era il sole, quel sabato mattina, nella via Salerno, nel mentre, che arrivò Andrea con il suo seguito. Maddalena, intanto, era in casa, che stava indossando, l’abito matrimoniale; con lei, c’era anche Lucia, che aveva messo alla luce, alcuni mesi prima un bimbo, che era stato battezzato con il nome di Nicola. Si aprì la porta e apparve Maddalena. Era veramente bellissima, i suoi occhi dal colore del mare si perdevano in quel vestito bianco, tutto ricamato. Andrea nel vederla, era un poco emozionato come tutti d’altronde; gli uomini, presero posto in prima fila, compreso Andrea, mentre le donne inclusa Maddalena, stavano dietro; in tutta la via Salerno, al passaggio di Maddalena, i bimbi donavano dei petali di rose a Maddalena. La sfilata, composta da molte persone, attraversava ora, la via Santo Cono, scendeva poi la Salita Oddo e giungeva nella via Capra poi, scendeva la Salita Giaisi e perveniva nella Salita Perricone; erano ora giunti all’Acquanova e da qui, presero in direzione della piazza Triona. Durante il tragitto, tante persone in strada o dai balconi, assistevano a queste scene, commentando il portamento di Maddalena, che era molto bella e anche su Andrea i commenti erano buoni. C’era tanta gente, nella piazza Triona, il suono a distesa delle campane, annunziava il matrimonio. Erano le ore undici del mattino, quando, Maddalena e Andrea fecero il loro ingresso nella Chiesa Madre; illuminata a festa, con tante candele accese, sull’altare maggiore. Con gli occhi di chi viene da fuori, entrando in quella Chiesa, Maddalena ebbe l’impressione, in quella giornata, regalata dal Cielo, di raggiungere un sogno; avrebbe voluto piangere per la felicità. Il Canonico Agostino, che era stato invitato da Andrea, per celebrare la messa, fece una bella omelia, parlando dei sinceri sentimenti degli sposi, ma non fece alcun cenno alla lettera. Fu, al momento che Andrea, passò una fede d’oro a Maddalena, nel mentre che il coro intonò un bel brano religioso, che dagli occhi di Maddalena, uscì qualche lacrima; erano veramente molto belli, quegli occhi dal colore del mare, con le lacrime di gioia di Maddalena. Fu quando finì la messa, al momento degli auguri dei presenti, che Maddalena disse a Lucia che le sembrava di vivere dentro un racconto dal titolo Romantica Bisacquino. Alla conclusione del matrimonio, la sfilata, che attraversò la piazza, era aperta questa volta dalle donne, compresa la sposa. Vicino Maddalena, stavano in prima fila le ragazze che ancora non erano maritate, vestite eleganti per l’occasione; le donne più anziane, invece, indossavano degli abiti a giacca accoppiate a delle scialline di svariati colori, tra di loro si chiamavano commari. La casa di Andrea, dove doveva svolgersi il trattenimento, aveva una stanza grande dove c’era l’alcova e due stanze più piccole, alle quali si accedeva scendendo due gradini. Dalla stanza grande, invece nella ferreria di mastro Saverio, che si trovava nella via Savoca ci si accedeva tramite un catarratto, seguito poi, da una scala in pietra curva di undici gradini. Alcuni mobili per fare largo erano stati portati da Giuseppe, che abitava nella via Colca, compresi i i trispi del letto e i materassi; lavoro di smuntari che era stato effettuato con l’aiuto del cugino Ignazio che aveva un carretto. Nella casa di Andrea, quel giorno, perciò, c’era movimento, perché si apparecchiava per tutti gli invitati al matrimonio. Con l’arrivo del corteo con a capo Andrea, il gruppo si organizzò nei tavoli sistemati nei vari punti della casa. Proprio, in quel momento, l’orchestra, che si trovava nella stanza grande, incominciò a suonare la romanza “Il volo degli angeli”. Dopo poco, Maddalena, fece ingresso nella stanza grande e cominciò a fare largo con Andrea ai parenti. Mastro Filippo, padre di Maddalena, che si trovava in questa stanza, quel giorno aveva anche altri pensieri, perché doveva sorvegliare la figlia Giuseppina, cui aveva dato il consenso di frequentare in casa Daniele, che giustamente era seduto in un’altra stanza. Vito il chitarrista cantava e Mimmo il fisarmonicista con l’orchestra l’accompagnava, quando, incominciò il pranzo. Oltre il pane e il vino locale, per primo fu servita della pasta di casa a forno, detta con il formaggio, condita con del sugo di pomodoro, del formaggio e della carne. Per secondo delle bistecche panate, uova sode e dell’insalata. In ultimo, delle aranciate, il riso con il dolce e i cannoli di ricotta della casa. Quasi al termine del pranzo, Francesco, che era dilettante in questo, fu chiamato da Rosetta, perché si doveva fare una bicchierata con il vino per gli sposi. Così, Francesco, si mise a capo di un tavolo circolare, u tunnu e intonò nel silenzio della stanza: "In questo paese di Bisacquino, abbondante di olive e di vino, con spighe e frumento, noi ci troviamo in questo tempo. Andrea ha avuto questo piacere, di volere a Maddalena, e in questa giornata di felicità, con amici e parenti si trova qua!. Di San Francesco di Paola alla Badia, tutti ci siamo messi a la via, per questa grande occasione e per questa felice realizzazione; per questo, con questo vino così fino, faccio un brindisi agli sposi, con tutto Bisacquino!" Fu in quel momento che Mimmo attaccò a suonare il brindisi della Traviata, mentre la gente, si andava a complimentare con Francesco, che pareva studiato, brindando con il vino, mentre nella stanza grande si cominciava a servire la cassata. La sera seguente sempre nella casa di Andrea si tenne il “suono di corda”, cioè si ballò; naturalmente furono invitati quelli che avevano partecipato al pranzo di matrimonio, ma anche quelli a cui ci si “teneva”, perché per il pranzo non era stato possibile invitare tutti. Nella casa di Andrea, quella sera, c’era anche Daniele, che alcuni mesi prima, con l’occasione di conoscere la cugina Maddalena, si era fatto fidanzato in casa, con Giuseppina, sorella di Maddalena. L’orchestra, intanto, si era sistemata in un angolo della stanza grande, proprio allo stesso posto dov’era sistemata, all’ora di pranzo. Finalmente, arrivarono Maddalena e Andrea; così, cominciarono i balli. Dapprincipio, ballarono solo Maddalena e Andrea, un bel valzer dal titolo “La luna romantica”, poi, nella mazurka successiva, molti si misero in mezzo. L’orchestra aveva terminato di suonare il tango delle Capinere, quando Sebastiano, cugino di Andrea, fu invitato a cantare, perché era dilettante in questo. Nel mentre, mastro Filippo, padre di Maddalena, che controllava i nuovi fidanzati, aveva visto che Pina, aveva guardato verso Daniele, per questo l’aveva fatta cambiare di posto. Alcune persone che passavano dalla via Savoca, vedendo che c’era “suono di corda” e che la porta era aperta, si erano auto invitati, tra questi Pietro il carpentiere. Mastro Filippo, quando si accorse che nella sala era entrato anche Pietro, che circolava, che voleva sua figlia Agata, ma che ancora non glielo aveva detto, tra di lui pensò: << E ora sono due da controllare! >> e chiese ausilio alla figlia Paola, che già era sposata; la quale però non era della sua stessa opinione, infatti diceva << Falli divertire che sono giovani! >>. Durante i balli mastro Filippo, controllava se le figlie ballavano larghe con i loro spasimanti mentre Paola, quando era seduta invitava le sorelle a ballare un poco più strette. Il bello successe, quando, Francesco disse: << Attacca Bastià! >> e cominciò a chiamare la “cuntrananza”. Andrea andò a invitare Maddalena, Daniele andò a invitare Giuseppina e Pietro a Lucia; in quella confusione, causata dalla tarantella, non s’è ne capì più niente; così che mastro Filippo pensò: “E si fecero i fichi!”; insomma, alla fine della tarantella, addirittura le tre coppie camminavano a braccetto. Verso mezzanotte, dopo di avere distribuito le bomboniere con i confetti, Maddalena e Andrea, salutarono i presenti; in quanto dovevano andare nella loro nuova casa, che si trovava nel cortile Fontanetta. Fu così, che terminò la serata di ballo; mastro Filippo, padre di Maddalena, mentre loro si allontanavano per andare nella nuova casa, tra di lui pensò: << E questa è fatta! >>. Andrea e Maddalena andarono ad abitare nel cortile Fontanetta, nel quartiere della Badia. In questo quartiere, le strade erano critiche, con bastioni e scalinate intercalate a mulattiere che si univano a viuzze e cortili. Allora, erano tutte case antiche, appartenute agli avi delle persone che vi abitavano. La loro casa, si trovava, di fronte ad una fontana e aveva un prospetto nel quale al primo piano c’era un terrazzo sostenuto da due archi, con una scalinata esterna e sopra di una di queste arcate c’era la porta d’ingresso. Il locale era composto di una camera abbastanza grande, che si trovava dove c’era la porta d’ingresso, da questa sala si accedeva nel vano della cucina, dove c’era un altro balcone, da qui, nella stanza da bagno, poi, c’era il terrazzo che si esponeva nella via Senapa. I due balconi invece si esponevano nel cortile. Nella prima camera, c’era uno sportello, il catarratto, tramite una scala ricurva di pietra, portava al piano di sotto, che si proiettava nel cortile Fontanetta; qui Andrea aveva aperto una bottega per la lavorazione del ferro, specializzandosi nel fare zapponi. Era una piccola bottega, con vicino all’ingresso un incudine, con di fronte un bancone e uno stipo e poco più in là una fornace. In questa fornace, che ogni volta che si apriva pareva un vulcano, si distingueva un mantice, che mastro Andrea adoperava per rendere ancora più alta la temperatura nel forno, quando ci veniva rinchiuso il ferro; questo faceva si, che le mura interne della bottega, pertanto, erano diventati scuri per il fumo provocato dalle forti temperature. Nel cortile oltre ad Andrea e Maddalena vi abitavano otto famiglie. Erano tutte famiglie con almeno nove figli, tutti nati in quel cortile. Nel rispetto degli usi, i mariti, funzionavano da capo famiglia, ma le mogli dirigevano in casa, guidando i figli. I figli davano ai genitori del Vossia. Erano tutte famiglie umili, che vivevano in un’epoca scarsa e irta di ostacoli. Verso le ore nove del mattino Maddalena si sentì chiamare, s’affacciò dal balcone e vide che giù c’era Pasqua, che l’invitava a scendere; Maddalena si sistemò alla meglio è scese nel cortile; qui in quella calda giornata di giugno le furono presentate da Pasqua quasi tutte le donne del cortile; poi, dopo, invitò in casa sua Pasqua, per fargli girare la casa. Gaspare era andato a trovare Andrea, sperando che in quell’occasione, anche da lontano, avrebbe visto Pasqua. Andrea lo trovò intento a preparare delle falci, che gli erano state richieste da Don Carlo, che aveva una masseria in contrada Frascine. Mastro Bernardo, padre di Pasqua, stava uscendo dal cortile con delle capre, quando si trovò davanti Gaspare, che era diventato un poco rosso in viso, vedendo il futuro suocero; giusto gli sembrò dirle “Benedica”, saluto al quale Bernardo, rispose con un cenno e proseguì oltre; Maddalena da dietro la tendina, aveva visto questa scena, gli parve opportuno, affacciarsi al balcone, per chiamare il marito Andrea, perché aveva preparato il caffè; così Pasqua e Gaspare poterono incontrarsi. Verso le ore undici, Gaspare lasciò la casa di Andrea e si diresse verso il quartiere della Grazia. Giunto nella piazza Triona, Gaspare, s’incontrò con don Franco; quest’ultimo, gli propose di andare a lavorare da lui, per la raccolta del grano, Gaspare, che naturalmente non era la prima volta che lavorava da don Franco, accettò il lavoro. Andrea intanto era ritornato in bottega a fare delle falci, nel mentre che Madalena si faceva aiutare da Pasqua a impastare della farina con del lievito di casa; dopo che Pasqua si era congedata, Maddalena, progettò cosa doveva preparare per il pranzo; decise, allora, di preparare un piatto tipico di Bisacquino. Allora, cucinò, in un tegame delle uova sode; poi, prese delle fette di carne di vitello dove, arrotolò le uova sode, con del lardo e del formaggio; condì il tutto con un impasto di pane grattato e delle uova battute e poi legò sempre il tutto con del filo da cucito e finalmente, immerse il tutto, in un tegame con del sugo. Alle ore dodici del mattino, mentre si sentiva l'orologio della Matrice che suonava dandalanda', chiamò Andrea; quest'ultimo, rimase contento di come sapeva cucinare Maddalena. Al termine del pranzo Andrea ritorno in bottega mentre Maddalena andò dalla signora Paola, a infornare il pane; quest'ultima, aveva un forno a legna nel cortile. Andrea, terminò di lavorare verso le otto della sera, per cena questa volta Maddalena, preparò delle uova fritte dette a “occhi di bue”. Maddalena e Andrea, però, erano consapevoli che non si potevano campare con quattro uova al giorno, perché erano tempi scarsi. Andrea, quella mattina, si alzò di buon ora, in quanto doveva consegnare delle falci a Don Carlo, che abitava nel corso Triona; giunto in questa strada, Andrea bussò al civico indicato. Dal balcone centrale, s’affacciò Don Carlo, che invitò Andrea a salire. La famiglia di Don Carlo, era una delle più importanti del paese, come si poteva anche notare dalla casa dove abitava; infatti si esponevano nel corso, cinque balconi, con delle inferriate stile barocco. Andrea, alzò il lucchetto del portone, posò le falci all’ingresso, e si trovò davanti una grande scala; era una scala, tutta in pietra battuta, larga circa cinque metri; molto bella, con trenta gradini. Don Carlo, si fece trovare alla fine della scala e invitò Andrea a entrare in una stanza grande: “u cammarune”; era anch’esso molto bello, c’erano in tutto lo stanzone, appesi al tetto, nove lampadari e nel soffitto c’era un grande affresco. Don Carlo offrì ad Andrea del rosolio, i bicchieri decorati, erano di colore verde scuro con rifiniture di oro; dopo di avere ricevuto il denaro per le falci, Andrea, mentre scendeva le scale, tra di lui pensò, che in fondo non c’erano cose che potevano sostituire il vivere nel cortile Fontanetta. Gaspare, in quell’istante, si stava recando a piedi nel feudo di Garretta; era già giunto in contrada Pomo di Vegna, quando incrociò sei mule, cariche di grano posti in dei “zimmili”, guidate dal contadino Bartolo. Gaspare, arrivò nelle terre di don franco, intorno alle ore sette del mattino; vide che già alcune persone mietevano il grano, per cui lui decise di mettersi subito al lavoro; in lontananza alcune persone, sparpagliavano le spighe per pulirle. L’area, era una parte di terreno battuto, dove dei muli, guidati dai contadini, passavano sopra le spighe; così veniva raccolto il grano poi trasportato ai mulini. C’era molto caldo quel giorno e il cielo era coperto di grigio, Gaspare, dopo circa un paio di ore di lavoro, era veramente molto stanco. Maddalena, che quella mattina era vestita con un abito a giacca per uscire, colore marrone chiaro, era andata a riempire una quartara di creta alla fontana; passando, davanti un edicola della Madonna del Balzo, si era fatta il segno della croce, poi si era fermata a parlare con Pasqua; quest’ultima le aveva annunciato, che Gaspare aveva intenzione di sposarsi il prossimo anno e che per questo cercavano una casa da acquistare; nel cortile Fontanetta in effetti, c’era una casa vuota, ma ancora non si erano messi d’accordo sul prezzo. Al centro del cortile, molti bambini giocavano, mentre le donne davano da mangiare a delle galline, che si trovavano anch’esse nello spiazzo. Mastro Giuseppe, nonno di Pasqua, era seduto in uno dei gradini esterni della sua abitazione, a realizzare un cesto con delle canne, In questo scenario, il caldo umido e secco e l’aria dell’estate contribuivano, a rendere piacevole il vivere nel cortile Fontanetta. Nel cortile Fontanetta, la famiglia di Andrea si era ben inserita con le altre famiglie, per questo nelle sere d’estate, dopo il tramonto, si riunivano gli abitanti all’aperto, per recitare il rosario seguito dai racconti che entusiasmavano i bimbi e i ragazzi. A quel tempo, ancora, non c’erano i lampioni, in molte strade del paese si usavano delle candele. Nelle case, però, si adoperavano lumi a petrolio, che generalmente erano fatti con metalli e che terminavano con un tubo di vetro; si adoperavo anche dei piccoli lumi sempre a petrolio. Nelle case delle famiglie benestanti, invece c’erano i lampadari, forniti di candele di cera. Maddalena con Pasqua, si erano recati nella via Ecce Homo dal calzolaio Benito per alcune riparazioni di scarpe. All’uscita dal calzolaio, incontrarono la vicina di casa Rosa, con la quale si fermarono a parlare. La discussione si concentrò sull’imminente fiera del due luglio e sugli acquisti che ognuno di loro si proponeva di fare per la casa. Andrea, nella sua bottega era indaffarato, perché voleva fare una sorpresa a Maddalena. Per questo, infatti, aveva chiesto collaborazione a mastro Salvatore che faceva il falegname e a Gioacchino che era carpentiere, entrambi abitavano nel cortile. Due manovali di Gioacchino, avevano trasportato, nel cortile, con una carriola, della calce, della sabbia rossa e delle pietre. Nessuno degli abitanti del cortile, riusciva a capacitarsi, su quello che dovevano fare, in quanto gli ideatori facevano finta di niente. La luce del giorno non c’era più. La notte con le sue ombre copriva Bisacquino. Con il suono della campana della Matrice che annunziava con l’Ave Maria la fine della giornata, tutti gli abitanti del cortile, dopo di avere recitato una preghiera in comune, erano rientrati a casa, lasciando però le porte aperte, con le tendine, perché faceva troppo caldo. Fu allora, che entrarono in movimento due manovali e mastro Iachino, i quali posizionarono nei quattro angoli del cortile quattro fanali in ferro battuto, costruiti da Andrea. I fanali erano stati realizzati con maestria, avevano ognuno un piede a tubo in metallo, che teneva il fanale; quest’ultimo invece, aveva una lanterna che finiva nella cima con una piccola cupola, da dove usciva il fumo dell'olio che si andava erodendo. Fu quando, mastro Iachino e i due manovali, accesero i “mecchi” dei lumini, che gli abitanti del cortile s’affacciarono, perché vedevano del lustro che proveniva da fuori. Andrea, che era a casa, disse a Maddalena di affacciarsi al balcone; vedendo l’opera che aveva realizzato Andrea, Maddalena restò senza parole. Bernardo, vedendo anche lui il lustro, restò così commosso, che disse alla moglie di mettere nella pentola della pasta da fare incaciata, per mangiarla insieme agli abitanti del cortile. Alla pasta si unirono anche delle patate cotte in dei tegami. Iachino prese il marranzano, Filippo il “friscaletto” e cantarono la ballata “Nicuzza”. Le strade erano, in genere asfaltate con delle pietre, alcuni passi solo con della terra. Non esistevano grandi vie nel paese a eccezione delle vie maestre lunghe in genere diversi metri di larghezza. Qui si scorgeva qualche cavallo, ma più di frequente un mulo con il suo carico, o attrezzato con un carro al trasporto di persone. Le strade, erano popolati, da animali domestici, polli, maiali, capre e gatti e naturalmente dai bambini che vi giocavano. La strada era inoltre popolata da botteghe varie e da venditori ambulanti che alzavano la voce per pubblicizzare i loro prodotti. Andrea che intanto era diventato il capo di una nuova famiglia, si serviva nell’educazione dei figli dell’aiuto di Maddalena. Ambedue sognavano che i figli maschi, avessero continuato la professione del padre mentre le figlie femmine che avessero molto presto trovato un marito. Le giornate nella loro casa, passavano con serenità, era un’abitazione povera con pochi suppellettili ma dove si respirava un’aria particolare: il calore umano, il rispetto, l’unione della famiglia e la fiducia in Dio e nella Madonna. Di giorno i loro bimbi, quando non c’era la scuola, svolgevano volentieri giochi secolari nel cortile con gli altri bimbi. Nelle sere d’inverno, si stava quasi sempre in casa, perché c’era molto freddo; quando pioveva forte e si sentivano i canali dell’acqua scendere nella via Ecce Homo e nelle vie limitrofe Andrea, riuniva i suoi figli, Filippo, Rosa, Emanuele, Saverio, Vincenza, Vito, Pietro e Giacomo nella stanza dove c’era il lume a petrolio sopra il canterano, per distrarli dai temporali. Andrea, riportava discorsi antichi, come quello che si snodava sulla rappresentazione della Madonna su di un balzo del monte Triona. Andrea, nell’Alba sul Triona, diceva che in tempi passati, in inverno, c’era per molti mesi la neve e che inoltre, capitava che sul calar della notte, c’erano sempre tante tempeste, con l’acqua che, scendeva dalle montagne e si univa con quella dei rivoli del paese, divenendo un fiume che percorreva l’abitato. Per questo, era nella bella stagione che c’era la festa al Santuario della Madonna del Balzo, nella prima quindicina di agosto, all’alba. Era all’aurora, appunto, che si intravedeva il Paradiso all’orizzonte, da sopra le montagne. La luce del giorno non c’era più. La notte con le sue ombre copriva Bisacquino. Con il suono della campana della Matrice che annunziava l’origine della giornata, Emanuele, si alzò e usci nel cortile. La prima persona che Emanuele vide, in lontananza, fu Gaspare marito di Pasqua, che coperto d’incerata si stava recando in una stalla. C’era un freddo intenso, e i fanali coloravano, nel buio, il cielo blu scuro di una luce esclusiva, mentre la neve continuava a cadere nel cortile e nelle strade adiacenti, quando cominciò l’alba. In tutto questo, Bianca aveva affrontato la neve e si era recata a riempire una quartara di creta alla fontana, asciugando una lacrima e gettando un rapido sguardo verso l’abitazione di Manuele. Manuele, aveva avuto il tempo, di intuire quella lettura veloce, quando cominciò a nevicare con più intensità. Voleva scendere giù per salutarla, ma temeva che sarebbe vissuta di ricordi. Così, mentre cadeva la neve e soffiava forte il vento, Emanuele e Bianca, cominciavano, quella nuova alba tra vicoli stretti e quasi al buio. Bianca aveva un viso grazioso, si occupava di prepararsi il corredo ed era una persona sistemata. Manuele, poco dopo, se ne sarebbe andato con il treno delle dodici, a salutarlo alla stazione c’erano tutti i parenti stretti. Manuele, s’imbarcò su di una grande nave al porto di Palermo; così giunse negli Stati Uniti due settimane dopo. Arrivò a Los Angeles, intorno alle cinque della sera, di quel giorno di dicembre, dedicato a Santa Lucia, c’era la neve. Indossava un vestito blu, al quale aveva attaccato un paltò. La città era molto grande, conteneva delle lunghe e larghe piazze e tante strade con molti negozi. Dopo di avere preso possesso della camera, Manuele, si avviò con altri due suoi compagni di viaggio, di Bisacquino Filippo e Salvatore verso la mensa, che era nei pressi. Erano circa le dieci della sera, quando fece rientro nel dormitorio. Durante quelle ore, Manuele, pensava, ogni tanto a Bianca. Poi, immaginava il suo paese, quello che più l’affascinava in quel pensare, era il vedere le strade e le viuzze sotto un’altra luce, quella della lontananza. Bisacquino, appariva, stupendo, come sempre, con i suoi fanali, la piazza, le fontane, le strade acciottolate, le botteghe e quelle persone che vi camminavano. Fu allora, che Manuele, aspettando l’alba, rivisse quelle splendide sere d’inverno, quando suo padre, raccontava l’alba sul Triona. Era inverno, un rovinoso temporale, quella sera si era abbattuto sulla città di Los Angeles. Un torrente, di notevole proporzione, scendeva, tra la Quinta Strada e S. Grand, oltrepassando i ponti e le super strade. Nello stesso istante, i cavi della metrò, in prossimità, forzate dalla pioggia, provocavano un corto circuito alla centrale elettrica principale e buona parte della città restava al buio, intanto che un forte vento la percorreva. Un bus dell’ATL, quella sera passava da lì. Nel bus c’erano all’incirca quaranta persone tra cui il conducente Emanuele e il bigliettaio Laura che avevano avuto disposizioni dal centro radio di fermarsi esclusivamente in un posto sicuro con l’obbligo di non far salire altri passeggeri. Il torrente, aveva assunto notevoli dimensioni, sostenuto dai ruscelli non contenuti dai tunnel scavati sottoterra. Il ponte che l’autobus ora percorreva, per questo rischiava di crollare. Nel cielo imperversavano i lampi e i tuoni quando i passeggeri, tentavano di potenziare gli sportelli. L’autobus, adesso, circolava nella Quinta Strada, infilandosi in mezzo al traffico caotico per il corto circuito e per la nebbia. Janne, ingegnere dell’università, era salito tre fermate prima e dava indicazioni a Emanuele sulle strade da evitare. Sopra al bus, viaggiava anche un operaio dell’azienda locale pubblica di segnaletica, che dava dei ragguagli sulle banchine invisibili. Manuele, cercava, intanto di eludere un muro d’acqua indotto da un cavalcavia, sperando in un prodigio della Madonna del Balzo. C’era buio in tutta la città e le periferie, finanche i migliori hotel attrezzati con gruppi elettrogeni non riuscivano a garantire una visibilità apprezzabile. Nella parte alta di S. Grand la bigliettaia Laura consigliò di dirigersi verso l’industria farmaceutica, lì sarebbe stato agevole poter posteggiare. Il bus si fermò, proprio, nel parcheggio attrezzato della fabbrica e i passeggeri furono condotti, passando attraverso un tunnel sotterraneo, al centro commerciale. Dopo le ore ventidue, la pioggia cominciò a cadere con meno intensità. Il frastuono del filo d’acqua nei canali era lieve e in ugual modo quello dei torrenti. Poi, i lampioni della città si accesero, e i clacson delle vetture, in piena notte, suonarono. Attraversando il tunnel del centro commerciale, i passeggeri, ritornarono sul bus. Durante questo tragitto, Emanuele era convinto che nel momento più difficile, dalla Tu Mara qualcuno l’avesse aiutato, portando lontano le acque rotolate dal cavalcavia. Non pioveva più a Los Angeles, quando, arrivò la comunicazione dalla centrale che il bus poteva riprendere la corsa. Alle ventitre e quindici, il bus fece rientro alla rimessa. Laura e Manuele, visto che avevano terminato il loro turno, ritornarono ognuno nella propria abitazione. Los Angeles appariva stupenda, come sempre, con i suoi fanali, i ponti, i grandi palazzi, le super strade, i negozi e quei milioni di persone che la percorrevano. Emanuele giunse al Los Angeles International Airport (LAX) intorno alle sei della sera, con provenienza da New Orleans, dove era andato a salutare alcuni suoi cugini, in quanto aveva deciso di ritornare ad abitare per sempre a Bisacquino, anche perché adesso aveva una situazione economica buona. Era un uomo sui trent’anni, occhi cerulei, capelli castani. Indossava un vestito blu, al quale aveva attaccato un paltò. Al Lax Transit Center andò a quindici giorni prima con la memoria, ritrovò quelle immagini dell’aerostazione. La hall era molto frequentata, prese un caffè al bar e si avviò verso l’uscita, dopo di avere preso i bagagli. I grattacieli, della città di Los Angeles, i ponti e le super strade erano ora di fronte a lui. Aveva vissuto in questa città cinque anni, ma di essa conosceva ormai ogni angolo, inoltre, facendo l’autista nella MTA, l’azienda pubblica locale di trasporto urbano, spesso gli era capitato il turno in diverse zone di Los Angeles. Emanuele, poco dopo salì anche lui su di un bus dell’ATL (Metropolitan Transportation Authority). A Emanuele del suo lavoro quello che più l’affascinava, era il sapere che aveva potenzialmente migliaia di colleghi a cui rivolgersi che guidavano per la città per la stessa ditta, anche per questo, scambiò qualche parola con l’autista di turno. Il bus fece capolinea tra S. Grand e la Quinta Strada. L’abitazione di Emanuele si trovava nelle vicinanze. Emanuele decise di andare a piedi, gli piaceva camminare mentre cadeva la pioggia. Pioveva piano e l’oscurità della sera che si avvicinava, colorava i lampioni, già accesi, di una luce esclusiva. Durante il percorso, ripensava a Bisacquino; così ricordò tanti anni prima, che c’era la neve e la luce pubblica, durava si e no qualche ora ogni sera. Poi, attraversò un passaggio pedonale e raggiunse la Quinta Strada prendendo dal lato destro del viale. Accanto a una fermata della metrò, buttò lo sguardo nella locandina del cinema, c’era un immagine di Frank Capra; era nato nel suo stesso paese, di quasi diecimila abitanti, e ora vivevano nella stessa città. Da un bar, con l’insegna della birra Messina, uscivano un gruppo di persone, quando Emanuele scelse di attraversare la strada, ormai era quasi giunto. All’ingresso del palazzo dove abitava, c’era dietro il bancone il portiere, un uomo di mezza età, capelli scuri, occhi castani, piccolo di statura che gli chiese notizie del viaggio. Dopo di avere preso uso delle camere, Emanuele decise di accendere la radio, era un modo per ritornare alla realtà dopo quel viaggio a New Orleans. Poi, passo più di un’ora a andare in giro per la casa a pensare, a ricordare particolari, situazioni e incontri, anche se gli sembrava tutto alquanto diverso rispetto alla sua casa di Bisacquino ma, in fondo, era contento di tornare a casa. Erano le nove della sera, quando immaginò quello che in quello stesso istante stava accadendo a Bisacquino, dove con il fuso orario con più nove ore rispetto a Los Angeles dovevano essere le sei del mattino. In quell’alba a Bisacquino Santo, che faceva il vaccaio, si sarebbe recato nel quartiere Acquanova, perché ci aveva delle stalle. Il capraio Filippo con suo cugino Onofrio, avrebbe accompagnato, a occhio, una cinquantina di capre, dalla mannara della montagna agli stalloni della masseria. Molte donne si sarebbero recate a riempire d’acqua delle quartare di creta alla sorgente dell’Acquanova. Bianca si sarebbe recata alla fontana a prendere dell’acqua, guardando verso la sua abitazione. Sicuramente pioveva e la lavina avrebbe attraversato la via Ecce Homo, nel mentre che un arcobaleno colorava il cielo di una luce particolare. Emanuele arrivò dall’America all’aeroporto Boccadifalco di Palermo verso le ore sette della sera; trascorse la notte in una locanda di proprietà di una famiglia di Bisacquino, nei pressi della Discesa dei Giudici, dove incontrò il compagno delle scuole elementari Francesco. La mattina successiva dalla discesa dei Giudici Emanuele e Francesco si spostarono nella via Roma, un disegno animato, metà novecento, uno scenario difficile da trovare, era ora di fronte a loro. Emanuele non aveva mai visto la via Roma di mattino presto, restò meravigliato nel vedere già la città piena di persone. Proseguirono in quel corridoio, tra gli illustri palazzi stile liberty, si diressero, così, verso il corso Vittorio Emanuele. Aprì su Bisacquino, Francesco, la conversazione. << Questo paese, è diventato importante, passa, considera che hanno rifatto lo stradale e la ferrovia è trafficata, ed è stato collegato bene anche con Burgio. Ci s’incontra sempre al teatro, che funziona ora anche da cinema, ma come prima anche nella piazza, perché è sempre piena di gente, di giorno e di notte >>. Attraversarono una parte del corso Vittorio Emanuele, poi arrivarono al Cassaro; da lì, si spostarono a piazza Marina. Il treno per Bisacquino era alle ore sei del mattino, giusto il tempo di prendere un caffè al bar. Il treno si mosse puntuale alle sei, di quel freddo giorno d’inverno da Palermo. Successivamente si avviò per Marineo e proseguì per il paese di Corleone, poi il treno, sopravanzò l’abitato di Campofiorito. Le trattazioni tra i due, si basarono su di un resoconto particolareggiato dei parenti, sui loro impieghi e sui ricordi d’infanzia. Lungo le terre dove il treno passava, si vedevano i vasti feudi, dai terreni colore ruggine coperti di neve. Arrivarono a mattina inoltrata. Il paese di Bisacquino, si presentava con tante case, riunite al modo di cortili, costruite con dei blocchi di pietra murati con della calce. Le costruzioni erano elevate senza un piano preciso su strade già esistenti. Il treno fece una fermata alla stazione e i due scesero. La casa di Francesco si trovava nelle vicinanze. Emanuele, giunse con il treno, approssimativamente, intorno alle ore undici della mattinata, quella fredda giornata di dicembre, tre giorni prima del giorno di Santa Lucia. Finalmente, partito circa cinque anni prima, ritornava al suo paese. Emanuele, era un uomo di ventinove anni, occhi cerulei, capelli castano scuro. Indossava un vestito blu elegante, al quale aveva unito una camicia a quadri dai colori bianco e celeste e una cravatta blu con i bordi dorati. Alcuno aveva notizia del suo arrivo quel giorno, in quanto aveva deciso di anticipare la partenza da Los Angeles. Per questo, Emanuele, andò, a piedi, verso l’abitato, prese davanti un mulino e dentro il paese costeggiò Santa Caterina, poi, si diresse per la Badia. Percorse un viale, poi un vicolo, superò alla sua sinistra la Chiesa di San Francesco d’Assisi e si trovò nella via D’Accurso, esponendosi nella larga e panoramica scalinata dell’Ecce Homo così giunse nel cortile Fontanetta. Come quando guidava il bus dell’A.T.M, e attraversava le grandi strade tra la neve, con la stessa determinazione che ogni passo in più era la conquista di un sogno, su quel davanzale, Emanuele, girò il lucchetto della porta d’ingresso e in quella umile dimora vide una donna con i capelli divenuti vecchi, seduta là in un angolo; era la madre, Maddalena. Gli occhi di Emanuele e Maddalena s’incrociarono solo per un attimo, ma quel momento a Emanuele come a Maddalena non sembrava vero e forse non sarebbe bastata una vita intera per raccontare quel sentimento. Emanuele, portava con se una foto di Maddalena, l’aveva guardata ogni mattina, all’inizio di ogni nuovo giorno, anche quando ormai era scolorita, l’aveva stretta specialmente a se nelle sere buie, quando la demoralizzazione, per la lontananza, prendeva il sopravvento e lui, aveva avuto la sensazione di non farcela. Emanuele, in quei momenti aveva capito però, anche, lo scopo della vita, negli insegnamenti ricevuti da Maddalena: la devozione alla Madonna, il fare del bene, la pazienza ma soprattutto la gioia di vivere, l’accontentarsi del necessario e l’umiltà. Maddalena, era una persona semplice, aveva lavorato tutta una vita, aveva incontrato dei dolori ma anche tante gioie, con Andrea aveva vissuto tutta una vita creando quella famiglia che sarebbe continuata nell’eternità, come in quel giorno, quando Andrea, gli aveva dichiarato con una voce ormai esile, che non sarebbe entrato nel Paradiso, se prima non l’avesse raggiunta e così, poi era volato via. Maddalena, ogni giorno, fino a quando le era stato possibile, aveva pregato alla Tu mara e aveva chiesto di poter rivedere suo figlio Emanuele, almeno una volta, prima di morire e ora in quel momento, lei era convinta, che Dio e la Madonna nella loro bontà infinita glielo avevano consentito. Alcuni dei fratelli e delle sorelle di Emanuele erano già sposati, per questo di lì a poco quella casa si popolò di tanti piccoli Andrea e Maddalena e di altri nipoti di Emanuele, addirittura uno portava il suo nome. Nella fantasia, Emanuele, le aveva immaginate diverse le stanze di casa sua, più conosciute, adesso, nella realtà, anche se tutto era come prima, non riusciva a conciliare la sua immagine con quella vera. Nella prima stanza sulla destra, in un’alcova c’era un letto matrimoniale in ferro battuto, ordinato con due materassi di lana per ogni lato, delle lenzuola ricamate e una cotonina color porpora. Nella parte destra del mobile del letto vi era un comò con tre cassetti, con lo specchio unito al muro, mentre nella parte sinistra delle sedie e un tavolino, riparato da un tessuto spesso pregiato, tra il grigio e il verde chiaro, invece, nella parte frontale c’era un canterano, sopra il quale era sistemato un ritratto di Andrea, con accanto una lampada ad olio. Emanuele, davanti a quella foto asciugò una lacrima, perché era stato bello avere avuto un padre come U Pà, Andrea. Nell’altra camera, si trovavano il forno a legna e la cucina a vapore, che avevano come collegamento dei mattoni di ceramica tra il grigio chiaro e l’azzurro; era quella anche la stanza da pranzo, con un tavolo, un armadio, una credenziera e alcune sedie. Intorno alle ore tredici, tutti i figli di Maddalena, compresi quelli maritati con le rispettive famiglie, si ricongiunsero per far festa a Manuele. Nella stanza da pranzo furono servite delle lasagne di casa in delle tavole, chiamati i scanatùri, utilizzate anche per far asciugare al sole la salsa asciutta o per impastare il pane. Per Manuele, sentire il suono, di quei cucchiai che s’inabissavano nelle lasagne con il sugo, negli scanatùri, era meglio del concerto della banda musicale, nella festa principale del paese, perché, quel suono aveva il sapore di casa. Emanuele ritornò a casa nel cortile Fontanetta, intorno alle ore sette della sera. Aveva cominciato a nevicare. La chiave girò nella toppa per due firrioni, poi la porta a destra, alzando un lucchetto, si aprì. Quell’abitazione, dai vetri di un bus, l’aveva vista passare nella sua mente, tante volte, ricordava i colori dei pavimenti, la collocazione dei mobili, le pitture dei quadri e tante altre cose. Ora finalmente era a casa. Passò più di un’ora a andare in giro per la casa a pensare, a ricordare particolari, situazioni e incontri, anche se gli sembrava tutto alquanto diverso. Non erano le strade che lui con la locale Azienda di trasporto a Los Angeles attraversava ogni giorno, lavorando d’autista quelle che vedeva da dietro i vetri del balcone pensava sorridendo, ma, in fondo, adesso era tra le sue mura. Nella fantasia, le aveva immaginate diverse quelle stanze, più conosciute, adesso, nella realtà ripercorreva gli anni più belli della sua infanzia. Nella madia, aprendo un portello, vi trovò alcune bottiglie di vino, del formaggio, dell’olio, della pasta, dello zucchero, della farina e una pignatta riempita di paste e di buccellati,tutto quasi come lo aveva lasciato. In questa stanza trovò una pignatta per riscaldarsi, perciò, vi aggiunse del carvuneddu, acceso da Maddalena. Accanto alla vanga del forno, prese u focu dalla cucina e più tardi mise il carbone ardente nella pignata. Poi prese un circo di legno, vi mise dentro la pignatta e, sopra di esso, posò la biancheria umida. All’alba successiva, il cortile era già coperto di neve; dalla finestra, che si esponeva dove c’era la fontana Emanuele, guardò fuori e rivide, come cinque anni prima Bianca, che stava riempendo d’acqua una quartara di creta guardando verso casa sua. Allora, Manuele scese nel cortile e si dichiarò a Bianca. Nevicava


Decano Don Calogero Di Vincenti




Il Decano don Calogero Di Vincenti nacque a Bisacquino il 6 febbraio 1925 da umile e sana famiglia di lavoratori che lo educò moralmente e religiosamente e che coltivò con amore la sua primaria vocazione al sacerdozio. Sin da bambino, fu simpatico alla gente, oltre per il suo carattere socievole, per la passione alla vita religiosa, tanto che un artigiano del tempo, visto il suo affetto per gli oggetti religiosi, gli regalò un piccolo modellino in legno della Vara, una grande cappella in legno scolpito, custodita nella Chiesa Madre di Bisacquino. Dopo gli studi elementari svolti nel paese natio, frequentò le prime tre classi del ginnasio presso l’Istituto Guido Baccelli di Corleone e nel settembre del 1939 entrò nel seminario Arcivescovile di Monreale, dove si distinse per gli studi classici prima e per quelli teologici successivamente, accompagnando le sue acquisizioni e le sue intuizioni con tale entusiasmo che ne infiammava profondamente tutti i seminaristi. Da segnalare ed apprezzare in questo periodo i sacrifici del padre Giuseppe che, per l’amore affinché il figlio realizzasse il suo sogno, viaggiava ogni due settimane, con un carro trasportato da un mulo da Bisacquino a Monreale per andare al Seminario. Occorrevano due giorni di viaggio e la strada che si doveva percorrere era infierita da anofele della malaria; inoltre in quei periodi di carestie queste strade solitarie erano battute da banditi che rubavano e saccheggiavano senza alcuna pietà. Da sempre il decano don Calogero Di Vincenti nutrì grande ammirazione e seguì la scia di Monsignor Giovanni Bacile allora decano – arciprete di Bisacquino; e questi coltivò le sue doti di apostolo fervente e lo stimò per la fermezza del carattere e per l’apertura sempre generosa al sociale. Ordinato sacerdote il giorno 4 aprile 1948 a Monreale dall’Arcivescovo Mons. Eugenio Filippi, celebrò a Bisacquino la sua prima messa una settimana dopo, in un tripudio di folla osannante. Subito dopo fu nominato vice – parroco della Chiesa Madre di Cinisi, dove fece la sua prima esperienza pastorale sino all’ottobre del 1949. Dal 1° novembre 1949, costituitasi in Montelepre la nuova  parrocchia di Santa Rosalia, ne fu il primo parroco, in tempi veramente calamitosi, poiché era stato imposto il coprifuoco da parte dello Stato Italiano contro la banda di Salvatore Giuliano. Per circa tre anni fu il sostegno vigoroso e il rifugio delle speranze dei poveri, dei sofferenti, di quanta l’umana tragedia colpiva con lutti e rovine. Attirò a se le nuove generazioni che educò nelle organizzazioni cattoliche al culto della verità ed alla pratica dell’amore al prossimo ed alla pace cristiana. Il 23 marzo 1952 fu nominato decano – arciprete della Chiesa Madre “San Giovanni Battista” di Bisacquino, dove spese per venticinque anni, sino alla morte, tutte le sue energie per la Chiesa e per il popolo. Aperto alle esigenze dei giovani e della comunità sollecitò da vero protagonista le amministrazioni comunali della zona e gli organi provinciali e nazionali per l’istituzione in loco di un Istituto Superiore Tecnico Commerciale e successivamente per aprire nuove possibilità di studio ai giovani di Bisacquino ed a quelli dei paesi vicini fece istituire un Istituto Professionale di Stato per l’Agricoltura G. P. Ballatore. All’atto dell’istituzione di questi due istituti fu nominato prima in uno e poi in un altro fiduciario ed insegnante di religione. Nella sua opera di assistenza ai giovani, in mezzo ai quali spendeva larga parte della sua giornata, li educò con il suo franco e leale sorriso alla gioia ed alla verità. Per lunghi anni fu rettore del Santuario della Madonna del Balzo. Fu vivace assertore della necessità di una strada di collegamento tra Bisacquino e il Santuario e del ripristino della vecchia “Via Sacra”, per questa opera lavorò con solerzia e pazienza sino ad ottenere dai competenti organi regionali finanziamenti e realizzazioni. Si deve a lui se il devoto a piedi scalzi, per voto, può oggi raggiungere il Santuario e sempre a lui si deve se le automobili possono avere accesso sino alla porta del Santuario. Tutto ciò solo per genuino spirito di servizio alla comunità, come egli ispirava continuamente. Grande impegno e costante lavoro dedicò all’Azione Cattolica, specie quella giovanile, la cui attività affiancava con campeggi e gite. Scopritore e formatore delle vocazioni religiose, avviò al Seminario numerosi giovani che oggi sono già sacerdoti, tra i quali il fratello Lino e il cugino Calogero. Fu sempre instancabile oratore sociale. E’ memorabile il suo impegno nel sollecitare gli Amministratori Comunali del Corleonese per l’inclusione dei Comuni della zona nella legge di finanziamento della ricostruzione delle case danneggiate dal terremoto del 1968. E la legge venne. Al turismo locale diede vigoroso impulso ottenendo con paziente tenacia la costituzione di una Pro Loco che assistette per diversi anni con consigli, con spirito di organizzazione e con appoggi morali e materiali, ripristinando forme tradizionali di folclore già dimenticate. Si preoccupò della restaurazione della Chiesa Madre, gravemente danneggiata dal terremoto del 1968, ma la morte lo colse prima che i frutti del suo lavoro potessero essere colti. Anni prima aveva realizzato la traslazione della salma del venerato Monsignor Giovanni Bacile nella Chiesa Madre predisponendo uno splendido sarcofago di pregiati marmi. Alla fine del 1976 aveva realizzato il sogno dell’installazione di una radio libera al Santuario della Madonna del Balzo con il nome di Radio Monte Triona. Alle ore 16 del 23 febbraio 1977 aveva tenuto una rubrica religiosa alla radio del Santuario; subito dopo venne portato a casa con evidenti segni di affaticamento. Due ore dopo intorno alle ore 19.00, lo colse la morte all’età di cinquantadue anni. Lasciò in tutta la comunità il vivo ricordo con unanime rimpianto.   




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